venerdì 23 agosto 2013

Gli occhi del cuore



«  Perché dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore. »

(MATTEO VI, 21)

Nell’antropologia biblica, “cuore” sta per “centralità della persona”, per l’integralità della persona stessa. Il cuore è la condizione storica ed esistenziale della persona, così come la vita le ha dato di essere; così come lei stessa ha accolto la vita; così come lei stessa opera vivendo. Il Testo sacro, per la precisione, riconosce aspetti diversi della persona, apparentemente raffrontabili con i termini delle antropologie greca e latina:
1)    ebr. Basàr, simile al gr. Sarx, lat. Caro (it. “carne”). In ottica biblica, però, il termine indica la totalità psicofisica dell’uomo, inteso nella sua condizione di unitarietà identitaria;
2)    ebr. Nefèsh, simile al gr. Psyché, lat. Anima. E’ la vitalità della materia organica, una sorta di sintesi (per così dire) delle aristoteliche anime “vegetativa” e “sensibile”. Nefèsh è però strettamente legata al corpo e specialmente al sangue (cfr gr. Thimòs, lat. Animus), tanto che in AT capita che l’anima desideri cose materiali come il nutrimento ed il corpo sia fonte di moti spirituali;
3)    ebr. Ruàh, simile al gr. Pneuma, lat. Spiritus. E’ il “punto di contatto” col divino sia come il greco nòus, ossia la “polarità terrena” della ragione peculiarmente umana (l’ “intelletto passivo” di Aristotele, qui già incluso anche in basàr), sia come Lògos, ossia come “polarità celeste” (“intelletto attivo”). Essendo solo Dio la Vita, solo da Lui essa può derivare ed essere mantenuta.
Si può notare come, a dispetto di facili raffronti, l’antropologia biblica si distingua nettamente, in effetti, da quella greca (specialmente platonica) per il suo elevato grado di immanenza: il corpo è qualcosa di proprio, ma non propriamente distinto dall’anima e dallo spirito; l’anima è qualcosa di proprio e di umano, ma non propriamente distinto dal corpo e dal soffio divino; lo spirito, che pure soffia da Dio, è altresì autenticamente proprio all’uomo integrale, anche materiale, così com’egli vive quotidianamente.
In questo quadro, il cuore assume il ruolo che si è detto: è la “natura” stessa della persona, non distinta però da ciò che alla persona è dato di essere dall’esterno che la genera e continuamente la condiziona, né da ciò che alla persona è dato di essere a causa del suo tipo di relazione, col reale e con Dio, riconoscibile tramite le sue scelte e gli effetti di queste sullo sviluppo della sua stessa persona.

C’è un vecchio anatema, in ambito cattolico, per cui all’atto della masturbazione viene associata la minaccia della perdita della vista. Un’interpretazione strettamente materiale del “vedere” ha fatto sì, dopo la critica razionalista portata avanti dal secolarismo, che l’anatema in questione fosse svilito e posto nel ridicolo alla luce dei fatti: nessuno perde la vista (o ne subisce un calo) a seguito dell’esercizio di pratiche autoerotiche. Eppure, la strana associazione proposta dalla tradizione ha un senso, purché per “vista” non si intenda più il puro atto sensoriale del percepire oggetti con gli occhi, ma la capacità di cogliere quanto circonda la persona che guarda.
La masturbazione è la pratica di darsi piacere con le proprie forze: è un esercizio, pertanto, della volontà di potenza. Il centro della masturbazione è l’IO: l’io che intende reggersi su se stesso e che, rifiutando di riconoscersi come dono di qualcun altro, vuole determinare da sé le modalità del proprio approccio con il reale e soprattutto con gli altri. Il “tesoro” custodito dalla masturbazione è l’io, che si fa accaparratore rapace di immagini stimolanti e promotore di un uso strumentale e “cosificato” di circostanze e persone asservite al suo proprio egocentrismo. Con questo non intendo demonizzare l’autoerotismo, che in una certa misura rientra in quel dovere di auto-custodia e di auto-tutela che è legittimo per ogni essere vivente: intendo però rivendicare il fatto che tale pratica, se assunta a standard delle proprie modalità relazionali, di fatto chiuda la persona al nuovo ed alla compromissione di sé con gli altri. La masturbazione “elevata a sistema” assume lo statuto della “mania di controllo”: ripropone il dramma, espresso biblicamente nel mito del “peccato originale”, della creazione umana dei concetti di “bene” e di “male”; riduce il mondo relazionale a ciò che l’io riesce a controllare, volendolo sfruttare; riduce gli altri ad oggetti dei desideri dell’io, togliendo loro la possibilità di irrompere nell’esperienza personale con tutto il loro bagaglio di novità, escluso da uno sguardo a loro rivolto in senso prettamente estetico ed esteticamente predeterminato.



Lo “sguardo del cuore” non è un atteggiamento romantico verso il mondo: il romanticismo è un filtro precostituito al quale la realtà viene ridotta, nell’essere per esso interpretata. Lo “sguardo del cuore” è l’applicarsi dell’intera persona, per ciò che ella è, all’accoglienza di ciò che la circonda. Lo “sguardo del cuore” è comprensibile alla luce della domanda «dov’è il tuo tesoro?»: essa porta in luce la condizione dinamica della natura umana e lo stretto legame tra ciò che si è, ciò che si vive, ciò che si accoglie, ciò che si fa, ciò cui si ambisce e la percezione di ciò che ci circonda. Chi intende salvare se stesso in un’immagine di sé considerata positiva (per motivi religiosi o filosofici, ad esempio), magari anche nella forma di una “visione del mondo”, si ritroverà a girare attorno al proprio io ed a cogliere, nel reale, specialmente gli elementi di convergenza e di divergenza con essa (con la propria ideologia, le proprie ambizioni, il proprio stile di vita, la propria morale: il caso limite di questa tendenza è quello del fondamentalista); chi intende scoprirsi alla luce delle vicende cui partecipa, invece (solo per citare l’estremo opposto al precedente: in realtà questo dualismo è puramente concettuale, ossia praticamente inesistente), si porrà verso le cose cercando di coglierne il nuovo e il sorprendente, rispetto al “già saputo”. Ogni giudizio, infatti, si fonda su ciò che già appartiene a colui che giudica: per questo, bene e male, fuori da un’immediata avvertenza personale ed esistenziale degli eventi storici, sono sempre una creazione umana.
Ma il nuovo, che pure procede dalla realtà, procede anche dall’egocentrico. Ruàh, l’intelletto attivo che dall’esterno del “già saputo” può sempre irrompere a scompaginare schemi e a far saltare pregiudizi, resta pur sempre elemento vitale di ognuno, anche del fanatico, pure nei limiti delle personali attitudini ed abitudini: così, ciò che è “tesoro” per la persona, ciò in cui il cuore della persona risiede e ciò da cui procede lo sguardo, sfugge infine ad ogni determinismo. La persona è sempre una “vittima/carnefice” della sua storia ed insieme una nuova e “vergine” creatura, pronta per un nuovo ed inaspettato incontro, per un percorso di conversione ed un rinnovato sguardo.
 

BIBLIOGRAFIA di riferimento:

CICCHESE G., I percorsi dell’altro. Antropologia e storia, UniversItalia, Roma 2012;
KRISHNAMURTI J., Liberarsi dai condizionamenti, Mondadori, Trento 2013;
LEVINAS E., MARCEL G., RICOEUR P., Il pensiero dell’altro (a cura di F. Riva), ed. Lavoro, Roma 2008;
MELCHIORRE V., Essere persona. Natura e struttura, Fondazione Boroli, Novara 2007;
WITTGENSTEIN L., Zettel. Lo spazio segregato della psicologia, Einaudi, Torino 2007.

Nessun commento:

Posta un commento