venerdì 14 gennaio 2022

Fra l'incudine e il martello

La sfida che come pagani siamo chiamati a mio parere a raccogliere, in questo frangente, è davvero notevole. Da una parte, c’è chi si ribella (giustamente) all’ordine dittatoriale che si è costituito, ma appellandosi cristianamente ai diritti “naturali” (e perciò presuntamente inviolabili) dell’Uomo; dall’altro c’è chi afferma, implicitamente, che i diritti siano (effettivamente) soltanto un costrutto sociale e che pertanto siano nella disponibilità insindacabile della decisione politica.

Ebbene, io appartengo alla seconda schiera eppure contesto comunque il regime totalitario vigente: perché? Cominciamo da principio, dicendo che io NON credo nell’esistenza di diritti naturali: nessuno mi deve niente ed io non devo niente a nessuno, ma tutti siamo, per certi aspetti, in concorrenza fra noi ogni qual volta i nostri personali interessi finiscano in conflitto con i personali interessi altrui.

I monoteisti possono permettersi di credere ai diritti naturali dell’Uomo perché, a loro dire, l’Uomo stesso sarebbe una creatura del dio e godrebbe di tutti i diritti concessigli da quello stesso dio (il che lo trovo di un nichilismo implicito estremo, giacché tutto ciò significa che l’Uomo ha dei diritti non perché li abbia in sé, ma perché ad un dio piace che li abbia); il cristiano ha Gesù come modello umano e può dire che sia pienamente umano solo chi coincida con lui, mentre un pagano, che non ha alcun modello di “umano perfetto”, si trova escluso da ragionamenti simili.

Questo significa che un pagano debba per forza riconoscere che, non esistendo diritti umani inalienabili, vada considerata legittima la situazione attuale? Ma per nessun motivo! Io penso che l’Uomo non abbia alcun diritto e che in effetti, ciò che chiamiamo “diritti” non sia altro che un accordo fra pari su dove fermarsi nella marcia verso l’altro, al fine di mantenere una concordia sociale utile a tutti, ma questo non significa che non esista alcun criterio logico (anziché dogmatico) per stabilire cosa sia lecito e cosa non sia lecito fare.

A cosa serve stare insieme? Aldilà dei vari gradi di empatia che ciascuno esprime e che, giocoforza, non possono essere soggetti a normativa, stare insieme è utile a tutti perché insieme si riescono a raggiungere obiettivi inarrivabili da ciascuno, preso nella sua singolarità. Per poter collaborare, è necessario un clima di tutela sociale reciproca: io posso investire le mie forze nell’opera comune, perché so che, qualora mi trovassi in difficoltà, altri giungerebbero in mio aiuto con le loro risorse; ne deduco, a rigor di logica, innanzitutto che le scelte politiche vadano prese collettivamente e non da una sola persona, poi ne deduco anche che, sempre a rigor di logica, le scelte politiche prese debbano sempre ricercare il giusto compromesso fra garanzie per il singolo e garanzie per il collettivo.

Se le scelte vengono prese da una sola persona, ci sarà certo chi si sentirà liberato dal peso del decidere, ma ci sarà anche chi si sentirà vittima degli altri e la compattezza sociale andrà a farsi fottere; se le scelte tutelano troppo il singolo individuo, la coesione sociale necessaria a raggiungere obiettivi comuni andrà a farsi fottere; se le scelte costringono il singolo ad immolarsi in funzione degli obiettivi sociali, quello stesso singolo perderà le motivazioni che gli servono ad investire le sue forze nel corpo sociale stesso.

Aldilà dell'evidente "stupro costituzionale" in atto, a mio avviso non c’è bisogno di tirar in ballo nessun diritto naturale, per capire che ciò che si sta compiendo oggi in Italia è una follia politica: uno solo governa, arrogando su di sé i poteri esecutivo, legislativo, giudiziario e comunicativo; il singolo è riconosciuto nella sua esistenza solo in quanto ingranaggio e cioè solo se si assoggetta completamente a ciò che il dittatore ha stabilito; la maggioranza è autorizzata dallo Stato (e cioè, ad oggi, da un singolo uomo) ad esercitare il bullismo sulla minoranza; il singolo è disincentivato a collaborare con gli altri, perché dagli altri non riceve alcuna tutela nella salvaguardia della sua unicità.

È indispensabile tornar a una visione dogmatica dei diritti umani, per uscire dal delirio di onnipotenza del drago? Io direi di no: sarà sufficiente tornar a mettere in chiaro quali siano gli obiettivi dello stare insieme ed agire con logica per capire quali strade siano coerenti con tali obietti e quali, semplicemente, no. Certo, la Democrazia ed una visione laica dello Stato impongono uno sforzo collettivo e personale ben superiore, a quello richiesto per delegare tutte le scelte ad un solo uomo o per affidare la propria tutela a dei diritti astratti imposti per volere divino: questo mi fa temere che, allo stato attuale, più che la paura stia vincendo la pigrizia.


Immagine da: C. CHAPLIN, Il grande dittatore, 1945.