sabato 14 gennaio 2017

La gestazione del rinnovamento

Il periodo posto tra l’Equinozio di Primavera (21 Marzo) ed il mese di Aprile, ovvero il periodo in cui si entra sotto il segno dell’Ariete, è tradizionalmente legato alla natività degli agnelli in tutte le tradizioni pastorali dell’area mediterranea. La gestazione di una pecora dura cinque mesi, centocinquanta giorni: ne deriva che la festa in cui si procedeva con la fecondazione fosse posta tradizionalmente all’inizio del mese di Novembre, quella festa che sarebbe divenuta Ognissanti allorquando la tradizione calendariale lunare ebraica si fosse innestata su quella lunare romana, attraverso il Cristianesimo. Il pesce è ovunque, nelle civiltà mediterranee, un simbolo di rinnovamento e di partenogenesi, a causa del fatto che pareva fosse in grado di riprodursi senza fecondazione, nascendo direttamente dalle acque come Venere (dea della Bellezza e della forza generativa della natura), di cui presto divenne non a caso il simbolo (da qui, la tradizione mediterranea di mangiare pesce il Venerdì, giorno dedicato alla Dea); il periodo tra il primo di Novembre - giorno in cui il confine tra la vita e la morte quasi sparisce, poiché appunto si celebra il rientro dai pascoli (chiusura del periodo vitale), ma anche la generazione del gregge futuro - ed il primo di Aprile, il giorno del pesce, è dunque un periodo tradizionalmente legato al mistero del rinnovamento della fertilità degli allevamenti, che coincide astronomicamente con l’interrarsi ed il riemergere del Sole ed anche, vegetativamente, alla caduta e poi al rinnovarsi del fogliame degli alberi, simboli questi ultimi della connessione fra le cose in alto e quelle in basso, tra la terra in cui affondano le radici ed il cielo in cui si librano i frutti. La terra e le radici rimandano immediatamente all’idea degli antenati, mentre i fiori ed i frutti della nuova stagione sono inevitabilmente associati alle nuove generazioni che si affacciano alla vita: al centro di questo percorso, il Solstizio d’Inverno si ritrova a definire l’esatto punto di transizione tra la morte e la rinascita. Si andò a definire un calendario fondamentale di otto festività in cui le quattro date principali del ciclo solare (solstizi ed equinozi) si andarono ad alternare ad altre quattro festività legate ora al mondo pastorale (inizi di Novembre e  di Febbraio) ed ora a quello agricolo (inizi di Maggio e di Agosto): con l’introduzione della Pasqua mobile luni-solare cristiana (prima Domenica successiva al primo plenilunio successivo all’Equinozio di Primavera), una festa equinoziale ed una festa pastorale andarono a sovrapporsi fino ad essere festeggiate assieme.


Nell’area celtica, la fecondità delle pecore era (ed è ancora, specie in ambito neopagano) celebrata con una festa di nome Imbolc, che letteralmente significa “in grembo”, posta il primo giorno di Febbraio: non sembra difficile capire che proprio ad un paio di mesi dal parto si potessero notare le forme della gestante, oltre ad immaginare che il periodo di maggiore pericolo per la gravidanza fosse oramai superato. Il mese di Febbraio, in Italia, deriva il suo appellativo all’etrusco Februus, nome del Dio della morte e della purificazione, dal quale i romani trassero il titolo anzitutto per la Dea Febris, la quale sovrintendeva alla guarigione dalle febbri malariche. Con il passaggio da una cultura villica ad una di stampo cittadino, come quella della Capitale, il periodo della gestazione degli agnelli fu presumibilmente associato a quello della gravidanza umana, per la quale la febbre e specialmente quella malarica era ed è assolutamente pericolosa, in quanto potenzialmente foriera di convulsioni capaci di procurare l’aborto spontaneo. In epoca pre-repubblicana, Numa Pompilio associò culturalmente, nel mese più freddo, il processo di guarigione al processo di morte e purificazione, attorno al tema generativo, dedicando il mese a Februus e contemporaneamente ordinando l’offerta di sacrifici funebri ai mani, gli spiriti degli antenati che, placati, avrebbero dovuto concedere alle nuove generazioni la facoltà di nascere in salute per il bene del popolo. Nella cultura romana successiva alle monarchie d’origine etrusca, mentre la Dea Febris presiedeva strictu senso alle guarigioni (in quanto il termine “febbre” era andato oramai ad indicare non più soltanto la malaria, la quale anzi era finita per essere appannaggio di altre due Dee, Terzana e Quartana), i quindici giorni tra la metà di Gennaio e l’inizio di Febbraio furono dedicati ad un’alter ego della Dea, di nome Februa, la quale altri non era che l’incarnazione di un appellativo della Grande Madre Giunone, Iunio Februata (ovvero la “purificata”). Probabilmente fu il ricordo dei fuochi utilizzati per distruggere le garze e le suppellettili usate appresso ai malati di malaria, che portò alla tradizione della processione di fiaccole per la città, attuata a cura delle donne, nelle ultime due settimane di Gennaio: di nuovo, il binomio “guarigione-purificazione” era associato al tema della maternità, nel periodo dell’anno ancora oggi più soggetto alle febbri ed alle influenze.


Come già si scrisse a proposito del Santo Natale e dell’Epifania, con l’avvento del Cristianesimo le feste d’inizio Febbraio, poste a 40 giorni esatti dal 25 Dicembre, finirono per essere integrate nella mitologia solare del Messia, ritrovando la simbologia del fuoco non più associata alla guarigione dalle malattie ed in forma di fiaccole, quanto piuttosto, in forma di candele, al principio di quel cammino di purificazione che è la Quaresima. I fuochi sterilizzatori divennero la Luce Divina che purifica gli sguardi; la richiesta di salute per la città e l’offerta votiva ai mani divennero la Presentazione del Salvatore al tempio, che allo stesso tempo incarna l’esposizione al popolo del Bambino d’Oro e l’offerta di un primogenito al dio del Paese; gli onori a Giunone Purificata passarono alla Purificazione di Maria a quaranta giorni dal parto, memoria da sempre associata alla Presentazione, nella liturgia cattolica, entro la tradizionale Candelora del 2 Febbraio.