lunedì 26 agosto 2013

Carenza, separazione, disordine



«  L’idea è per noi più importante del fatto; il concetto di ciò che uno dovrebbe essere ha più significato di ciò che uno è. Il futuro è sempre più lusinghiero del presente. L’immagine, il simbolo hanno maggior valore di ciò che rappresentano […]. Così creiamo una contraddizione fra ciò che è e ciò che dovrebbe essere. […] Perché ci aggrappiamo all’idea, deliberatamente o inconsciamente, e mettiamo da parte il reale? L’idea, il modello, sono una proiezione dell’io; sono una forma di auto-adorazione, di perpetuazione dell’io, e pertanto piacevole. L’idea dà il potere di dominare, di affermarsi, di guidare, di foggiare; e nell’idea, che è una proiezione dell’io, non c’è mai negazione dell’io, disintegrazione dell’io. Così il modello, o l’idea, arricchisce l’io; e ciò è anche ritenuto amore. Io amo mio figlio, o mio marito, e voglio che sia questo o quello, voglio che sia qualche altra cosa di quello che è. […] Tu scegli assecondando la tua gratificazione; la tua scelta è il tuo pregiudizio. »

(KRISHNAMURTI,
Liberarsi dai condizionamenti, Mondadori, Trento 2013, pp. 55-58)

La realtà è adeguata alla vita: lo dimostra il fatto che la vita esista. Solo un’identificazione della qualità della vita con la potenza può mettere in dubbio questo dato: “siccome io non posso essere tutto ciò che il mio capriccio vorrebbe, la realtà è inadeguata alla mia realizzazione”. Ma la realizzazione è il compimento di ciò che si è: non la trasformazione di una quercia in un albero da frutto.

E’ l’ipostatizzazione dell’attività del pensare in “pensiero”, a procurare la separazione tra l’uomo, la realtà ed i suoi simili. Il “pensiero”, divenuto autonomo dall’uomo, spinge l’uomo a trasformare in “diritti” le proprie ambizioni: “devo essere questo”, egli dice. L’unità è alla portata degli uomini, in questo mondo, come esito di un cammino di compromissione reciproca e non come dato ontologico di partenza. Chi teme il reale non si compromette con esso e chi non si compromette con esso, può cogliere in esso soltanto le proiezioni dell’io, ritrovandosi a trattarlo come “dispenser” di servizi, spesso conflittuali con le esigenze altrui. Chi si fida dell’adeguatezza del reale alla vita, invece, si compromette con esso e di conseguenza con gli uomini che incontrerà.

Il mondo è ordinato, tant’è vero ch’è possibile compromettersi con esso. Non è possibile compromettersi con qualcosa che non abbia un’identità e non può avere un’identità ciò che non abbia anche un ordine. Ma l’ordine del reale, partecipabile in una certa misura dall’uomo che ne fa parte, è percepibile nella sua essenza solo da chi accetta di compromettersi con esso. Colui che giudica il reale senza tuffarsi a capofitto in esso, ma restandosene pavido a giudicare dall’esterno aspettando che le situazioni corrispondano al suo gusto, non vedrà in esso che il riscontro o le contraddizioni rispetto ai suoi capricci. La realtà sarà allora, per costui, “ordinata” nella misura in cui potrà assecondare tali capricci; sarà “disordinata” nella misura in cui andrà invece per la sua strada: “ma il cielo e la terra fanno quello che vogliono, mentre gli uomini parlano” (Zhuangzi, testo taoista del sec. IV a.C.).

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