lunedì 21 ottobre 2019

ABOMINABLE, cine-riassunto esoterico

“Il piccolo yeti”, che faremmo meglio a chiamare “il paradigma della carpa koi”, è una co-produzione internazionale USA-CINA del 2019 con la quale l’industria occidentale tenta nuovamente di “far breccia” nello sterminato mercato asiatico dell’intrattenimento. Sul piano tecnico il lungometraggio, diretto dalla coppia J. Culton e T. Wilderman, non è neppure lontanamente in grado di competere con le produzioni Pixar-Disney cui siamo oramai abituati e ciò nonostante, sarebbe a mio avviso un errore sottovalutarlo. Scopriamo un film incantevole e intenso che smuove una quantità tale di “leve interiori”, grazie ad una serie interminabile d’immagini archetipiche tratte dalle due culture, da risultare assolutamente adatto ad un pubblico di profonda cultura.

Scrive Marianna Cappi su MyMovies, intuendo qualcosina di ciò che andrò ad esporre: « il film di Jill Culton sembra possedere qualche qualità nascosta, per come il risultato supera magicamente l'insieme delle parti ».

“Abominable” è un racconto di formazione, anzi, è un racconto iniziatico che coinvolge lo spettatore in prima persona, chiamato inevitabilmente ad “incarnarsi” in uno dei “quattro elementi” che affronteranno –ciascuno a suo modo, il proprio percorso di “risveglio” durante questo straordinario "viaggio deGLI eroi". Sin da sùbito, incontriamo i quattro tipi di persone che il Destino può chiamare ad una nuova realtà. La protagonista è Yi o per meglio dire “Anima”, che vive il suo quotidiano nella frenetica ricerca degli strumenti per partire, alla volta di un percorso che SA GIA’ essere sacro, perché legato ai progetti del Padre -progetti sconosciuti al mondo, ma vividi in lei.

Essendosi spezzata la “coppia sacra” con la sparizione del Padre e come Eracle infante allontanato da Zeus, la “bambina d’oro” non sa più cogliere neppure il Femminino Sacro, con il suo sistema di valori: tutta ripiegata all’interno, attende unicamente alla sua sete lavorando duramente nonostante tutti, attorno a lei, paiano considerarla un’aliena. Solo la Sacra Armonia che viene dal Padre brilla ancora nel cuore della Figlia, tale da diventare il leit motiv del suo intero percorso. E’ l’armonia sacra del suo Destino, ciò che Yi imparerà a gestire: è l’armonia sacra del Padre, ciò che richiamerà a lei lo Spirito Guida della Montagna Splendente.



Si potrebbe temere che gli strabilianti poteri dello yeti siano una facile soluzione per “tappare” altrimenti vistosi “buchi di scrittura”: sarebbe così se lo yeti fosse appunto ciò che il nome dice e non il Sacro Nume Tutelare della storia. Lo spirito della Montagna è in ogni modo braccato da forze incredibilmente ben architettate, in prospettiva esoterica: esse vogliono mostrare il Sacro al mondo a costo di neutralizzarlo, mentre Yi ed i suoi amici, gli Eletti del Sacro, vorranno nasconderlo al mondo e ricollocarlo là dov’esso regna, per onorarlo. Al più basso “gradino” della ricerca c’è lo "sponsor" della “caccia allo yeti”, presentato come un antico spettatore del Sacro.

Compagno inconsapevole di Yi sulla “Via di Luce” da lei inaugurata, il vecchio scalatore caccia lo yeti per fuggire a quella stessa derisione del mondo –incredulo ai suoi racconti di gioventù, che la bambina ha invece volutamente abbracciato pure di partire: lei è la PNEUMATICA guidata dal Destino, lui è lo PSICHICO manovrato dalle proprie paure. Un terzo personaggio, socio del vecchio nell'inseguimento del "mostro", è la dottoressa incarnante l’ILICO, il lato cieco della femminilità, colei che è materia e che nessun viaggio sarebbe in grado di elevare oltre essa: l’ilica è falsa e perciò cieca, vive col sacro un rapporto puramente strumentale in cui il MISTERO è solo l’abominio del titolo.

I due restanti compagni d’avventura non hanno còlto da soli il richiamo della partenza: erano in diversa maniera impreparati e inadeguati all’irruzione del Nuovo nelle loro vite; nessuno Spirito Guida giunge per loro, ma si lasciano ad ogni modo guidare da esso per il tramite di "Colei che Vede Prima", Yi la Prometea, la sacerdotessa che dallo Pneuma intercede per tutti coloro che, pure nella condizione psichica del dominio emotivo, si dimostreranno “uomini di buona volontà”. E’ innanzi ad un Budda, che l’illuminazione coglierà i tre, ciascuno al suo livello; anche se solo Yi ascenderà, facendosi generatrice di Vita, gli occhi di tutti si apriranno: ora su di sé, ora sull'amicizia.

Come in ogni epopea mistica che si rispetti, non manca l’archetipica immagine della morte iniziatica, espressa con sobrietà e nel contempo doverosa violenza. L’Illuminazione, appena conseguita, davanti al "nulla che avanza" non potrà fermarsi a crogiolare nel buonismo disneyano delle situazioni che si salvano da sole: Anima, divenuta Dea della Guerra seguendo l’esempio dello Spirito Guida, suo “pontefice” e “psicopompo”, scoprirà che l’Armonia del Suo Cuore, divenuta oramai cosmica, può e deve generare, può e deve distruggere, può lasciar andare e può trattenere, affinché l’equilibrio del Sacro sia preservato. Solo accettando assieme alla partenza, pure il ritorno, l’Unità sarà ripristinata e “la strada di casa -di cui il titolo, ritrovata".

mercoledì 29 maggio 2019

Paideia – 04, Un umanesimo “pagàno”?

Un percorso spirituale è, in estrema sintesi, un protocollo teorico-pratico teso ad auto-attribuirsi un senso, tramite lo sviluppo di una ricomprensione del mondo e della propria presenza in esso. Spesso, nel contesto esoterico contemporaneo si tende a supporre che le visioni spirituali si dividano in tre grossi gruppi alternativi: 1) quello attribuito alle cosiddette “religioni neo-pagane”, per cui l’Uomo dovrebbe perseguire l’equilibrio di se stesso con l’ambiente; 2) quello attribuito alle cosiddette “correnti gnostiche” (religiose e/od iniziatiche), per cui l’Uomo dovrebbe affrancarsi dalla materia; 3) quello attribuito alle cosiddette “correnti orientali” (religiose e/od iniziatiche), per cui l’Uomo dovrebbe affrancarsi niente meno che da se stesso. C’è in realtà, nella millenaria tradizione mediterranea, una “quarta via” che racconterò (spero) semplicemente, usando quel linguaggio alchemico che costituì la sua ultima formulazione, prima di quella junghiana del secolo XX.


Partiamo col dire che il percorso può essere descritto attraverso tre opere e cioè tre “gradini” ideali dello stesso, oltre a due strumenti per attuare l’avanzamento da un gradino all’altro. I due strumenti della pratica sono il diavolo ed il simbolo; le tre opere, in termini alchemici, sono definite Nigredo, Albedo e Rubedo; le due attività connesse ai due strumenti di lavoro sono definite Solve e Coagula. Siccome l’alchimia usa il linguaggio siderurgico-chimico, l’opera preliminare del percorso è anche detta “ricerca della materia prima”, dove la materia prima, in un contesto spirituale, è ovviamente l'apprendista stesso. Nell’Opera al nero si scende anzitutto al centro della terra e si distrugge il minerale per ottenere il metallo che andrà lavorato: si tratta del famoso “conosci te stesso” del Tempio di Delfi.


Quando il diavolo ci piomba addosso con le sue tentazioni, mette in luce il nostro desiderio ponendoci davanti ad una scelta: assecondarlo, lasciando ch'esso distrugga la nostra bella immagine preconcetta di noi stessi, oppure aggrapparci a quest’ultima e diventare nevrotici, “perdere la nostra anima”, direbbe il Vangelo. La dissolvenza delle nostre infantili illusioni, prodotta dai crudi desideri scaturiti dal lavoro del diavolo, fa emergere in noi la materia prima, separando da noi stessi -rendendoli riconoscibili- tutti quei condizionamenti, preconcetti, bisogni indotti e timori cronicizzati che non corrispondono alla nostra più arcana indole. Il diavolo, autentico portatore di luce, spezza la nostra irreprensibilità e ci restituisce uno sguardo disincantato su noi stessi, sbattendoci in faccia la nostra anima. Davanti al diavolo, qualcosa muore sempre: a morire sono le nostre illusioni, oppure la nostra autenticità.


Ciò che il diavolo porta alla luce è molto spesso imbarazzante, sul piano sociale: allontanando da noi le "scorie di pietra" in cui il "nostro metallo" era imprigionato sul fondo della miniera, prendiamo coscienza della “pasta di cui siamo fatti”, parte della quale era nascosta perché inconfessabile, impresentabile, inaccettabile per noi che siamo costantemente posti in paragone col contesto morale cui apparteniamo. Nell’Opera al bianco sorge l’alba per un adepto riconciliato con se stesso e che ha scelto se stesso come punto di riferimento per il significato della propria vita. Tutti i frammenti autentici riemersi grazie all’irrompere del desiderio, “belli” e “brutti”, noti e sorprendenti, vengono ora a coagularsi in matrimonio mistico fra loro, dove luce ed ombra non si confondono, ma generano una nuova vita, un simbolo di .


Una volta dissolte le illusioni dell'Io ed una volta sintetizzata una nuova e più ampia considerazione di Sé, l’Opera al rosso richiede nuovamente l’intervento del diavolo e quella del simbolo, questa volta nello stesso momento e per produrre congiuntamente una nuova condizione esistenziale: il tramonto della centralità di sé per la comunione con tutto il resto, con l’Unus Mundus. Memore della propria nigredo, il ricercatore scopre che la sua prima immagine egoica stava al suo vero Sé come ora il suo vero Sé sta alla realtà. Nella reciprocità fra interno ed esterno, fra microcosmo e macrocosmo, il diavolo offre una nuova luce: quella dell’uscita dall’auto-referenzialità. Morto nel nero l’io e rinato nel bianco il sé, ecco che nel rosso, contemporaneamente, l'iniziato a se stesso muore alla propria illusione d’autosufficienza e rinasce nell’abbraccio del Cosmos, che ora è tutti e ciascuno. 

lunedì 20 maggio 2019

GOT - "Sic transit gloria mundi"

Si è conclusa oggi l’ultima stagione della saga televisiva di “Game of Thrones” (GOT), che per la prima volta ho voluto seguire anche attraverso i pareri “passo-passo” degli innumerevoli commentatori telematici. Ritenendo che sulla serie in sé siano già state spese più parole del necessario, mi appresto qui di seguito a fare una cosa diversa e cioè la “recensione dei recensori”. Dice un vecchio adagio che “la malizia è nell’occhio di chi guarda” ed in effetti anche secondo me, le cose che guardiamo sono sempre lo specchio –se non addirittura la conseguenza- di ciò che siamo: mai come nel confrontarmi con i commenti a GOT, in ogni caso, mi è capitato di veder emergere con tanta chiarezza un campionario così vario ed altresì unitario di categorie umane, che ora proverò a descrivere conscio del fatto che anche la mia indole sarà sotto il giudizio altrui, una volta che avrò espresso il mio giudizio sui vari tipi di recensori della “rete”. Alla fine della disamina, proporrò una ricapitolazione ed un mio veloce commento alla serie.


1) PURISTI – sono quelli che hanno letto i libri da cui la serie è liberamente tratta e che non ammettono la possibilità che gli autori televisivi possano fare ciò che credono del soggetto originale. Secondo i puristi, un prodotto audiovisivo tratto da un libro ha senso soltanto se serve ad espandere sensorialmente le stesse identiche emozioni che loro hanno provato leggendo ed ha quindi il dovere morale di non “tradirli” con innovazioni o sofisticazioni di personaggi e trama.

2) NOSTALGICI – sono quelli che hanno idealizzato l’epoca “d’oro” in cui si affezionarono alla serie e che non ammettono la possibilità che gli autori televisivi possano far evolvere il loro prodotto nel modo in cui credono. Secondo i nostalgici, un prodotto audiovisivo ha senso soltanto se serve a garantire nel tempo le stesse identiche emozioni che loro hanno provato quando si avvicinarono alla serie ed ha quindi il dovere morale di non “tradirli” con evoluzioni inaspettate del carattere dei personaggi e delle modalità narrative.

3) TIFOSI – sono puristi o nostalgici che hanno maturato una particolare proiezione su di un personaggio e che non ammettono la possibilità che gli autori televisivi possano farlo evolvere od involvere nel modo in cui credono. Secondo i tifosi, un prodotto audiovisivo ha diritto di evolvere nella misura in cui non vada ad alterare la continuità emozionale ch’essi ricevono dal loro personaggio amato ed ha quindi il dovere morale di non “tradirli” discostando il percorso di quest’ultimo dalle loro aspettative.

4) TECNICI – sono quelli che focalizzano la loro attenzione sulla qualità tecnica del prodotto audiovisivo, che mantiene un senso ai loro occhi nella misura in cui non si discosti dai loro standard qualitativi.

5) RIGORISTI – sono nostalgici che focalizzano la loro attenzione sulla qualità tecnica del prodotto audiovisivo, il quale mantiene un senso ai loro occhi nella misura in cui non si discosti dai loro standard qualitativi. Diversamente dai tecnici, che semplicemente seguono un audiovisivo fintanto che lo reputano degno, per abbandonarlo qualora si discosti dai loro standard qualitativi, i rigoristi, in quanto nostalgici, hanno caricato emotivamente il loro apprezzamento per la serie, che ha quindi il dovere morale di non “tradirli” allontanandosi dagli standard qualitativi che, nella sua “epoca d’oro”, li aveva fatti affezionare.

6) PIGNOLI – sono puristi, nostalgici o tifosi che diventano rigoristi nel momento in cui si sentono “traditi” dalla serie sulla quale avevano attuato in precedenza un forte investimento emotivo.

7) SNOB – sono pignoli che concentrano la loro attenzione sull’attacco a chi continua ad apprezzare una serie dalla quale loro stessi si sentono in qualche modo “traditi”. Secondo gli snob, nessuno ha il diritto di apprezzare ancora un prodotto audiovisivo dal quale essi stessi si siano sentiti “traditi”.

8) SUGGESTIONATI – sono quelli che apprezzano il prodotto semplicemente per le emozioni tratte dalla potenza della sua “messa in scena”; vivono la fruizione di una serie come puro intrattenimento, per cui essa ha senso fintanto che offra loro una potente stimolazione sensoriale, capace di coinvolgerli esteticamente ed emotivamente: costoro detestano le parti discorsive di basso impatto emotivo, sono le vittime predilette degli snob e per certi versi, il contrario dei tecnici.

9) PLAGIATI – sono quelli che hanno idealizzato il prodotto audiovisivo al punto di apprezzarlo “senza se e senza ma”, per il solo fatto di avere fortemente investito emotivamente su di esso. Secondo i plagiati, nessuno ha il diritto di criticare la serie che loro adorano.

10) OTTIMISTI – sono quelli che si dimostrano capaci di apprezzare il prodotto, pure accorgendosi delle sue eventuali criticità sul piano della scrittura, della recitazione e della resa scenica. Per gli ottimisti, un prodotto ha senso fintanto che si dimostri suggestionante sul piano tecnico e/o capace di restituire in modo simbolico dei contenuti, nonostante alcune eventuali carenze sul piano della coerenza narrativa, recitativa e tecnica. Generalmente, gli ottimisti sono le vittime preferite di tutti gli altri.


Al termine di questo elenco, mi piacerebbe fare notare come il contesto emotivo “la faccia da padrona” in tutte quante le categorie: la prima cosa che salta ai miei occhi è che l’esperienza emotiva dei recensori sia stata il vero “ago della bilancia” delle valutazioni. L’inevitabile vita emozionale che accompagna chiunque in qualunque esperienza ed anche in quella di una fruizione audiovisiva, mi pare che, nella gran parte dei recensori di GOT, sia stata espressa nei termini strettamente dualistici di “giusto” e “sbagliato”. La cosa che ho riscontrato maggiormente è stata la risicatissima capacità di far emergere –nelle valutazioni- un serio interrogativo circa il valore delle proprie aspettative: in altre parole a me pare che, quali che siano stati i criteri adottati per valutare GOT, raramente i recensori abbiano mostrato la lucidità di chiedersi onestamente quale oggettività potessero mai avere, in effetti, quegli stessi loro criteri. Il “mondo emotivo” dei recensori, che io reputo in effetti essere l’unico legittimo criterio soggettivo di gradimento, l'ho visto molto spesso assolutizzarsi fino a pretendersi come un parametro oggettivo di valido ed invalido. Molti insomma, a mio avviso, l’hanno "pensata" come Daenerys nella sua ultima "battuta" nella puntata finale.


Che ne penso infine io di questa serie, alla luce della sua conclusione? Anzitutto, già l’enorme mole di polemiche che ha suscitato basta, secondo me, a capire quanta capacità GOT abbia mostrato di saper coinvolgere emotivamente i suoi fruitori e me compreso, pure manifestando decisivi cambiamenti di target e d’impostazione nel suo dispiegarsi: se nelle prime stagioni si contraddistingueva infatti per l’onnipresente “zona grigia” in cui versavano tutti quanti i personaggi, diversamente immersi in un “brodo primordiale” di sesso e sangue, all’inizio della sua seconda metà, la serie pareva essersi indirizzata verso una narrazione più convenzionale, fatta di buoni da un lato e cattivi dall’altro, meno sangue e niente sesso, decisamente più fruibile dal pubblico generalista che si era progressivamente conquistata. Per assurdo, chi dopo la quarta stagione si era lamentato del dualismo buoni/cattivi in cui erano stati ficcati i personaggi, si è poi lamentato del “ritorno al grigio” dei personaggi stessi, in quest’ultima stagione. Le criticità che ho sentito denunciare circa le “uscite di carattere” dei personaggi, secondo me risentono spesso dei preconcetti morali dei recensori, che molto facilmente ho ritenuto scadere in una clamorosa confusione fra i propri gusti, l’effettiva entità della contraddittorietà umana ed i presunti doveri degli sceneggiatori nei riguardi loro e dei personaggi. Un prodotto è ciò che i suoi autori stabiliscono che debba essere ed un autore non è mai responsabile del crollo delle aspettative da parte dei fruitori della sua opera, a meno che non stia lavorando su commissione. Una serie può piacere come non piacere, ma non può essere accusata di avere tradito qualcuno, non avendo da mantenere alcuna promessa verso chicchessia. A me la serie è piaciuta ed è piaciuta molto anche l’ultima stagione, la cui peggiore puntata reputo sia effettivamente proprio l’ultima. Sicuramente GOT ha subìto una importante altalenanza sia sul piano registico, che della scrittura: non dalle ultime stagioni del resto e non a caso molti –specialmente puristi che oggi si atteggiano a nostalgici, in realtà non si risparmiarono critiche sin dagli esordi.