giovedì 29 giugno 2017

Cristianesimo e simbolo. XV novella

Poiché molti han posto mano a stendere un racconto del senso degli avvenimenti, così come lo trasmette quell’intelletto che ne è testimone fin nel principio e che si fece carne grazie ai ministri della parola, così ho deciso anch'io di fare ricerche accurate su ogni circostanza degli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che ricevi. Quando Mosè portò i suoi fuori dalla schiavitù dell’Egitto, le privazioni del deserto portarono le genti alla mormorazione contro il senso del loro peregrinare… le difficoltà del cammino, come mille serpenti velenosi, s’insinuarono negli animi condannando a morte chiunque focalizzasse lo sguardo su di esse, piuttosto che sull’ascesi verso il Monte Santo. Mosè sollevò allora un’effige di serpente in rame su di un palo, cosicchè l’idolo formasse una scala fra il cielo e la terra: chiunque guardasse l’Unico serpente riscopriva il senso e chi riscopriva il senso, non era più soggetto ai veleni delle circostanze disagevoli.

Le cose terrestri infatti, così come i nomi in cui esse sono fissate, racchiudono un grande inganno, perché distolgono i cuori dalle cose autentiche per pietrificare la loro iniziativa, nei pregiudizi dettati dall’ignoranza e dalla paura, sua figlia. Chi sente la parola “Dio” non intende ciò che è autentico, ma intende ciò che non è autentico. Così pure per “Padre” e “Figlio” e “Spirito Santo” e “Vita” e “Luce” e “Resurrezione” e “Chiesa” e tutti gli altri nomi non s’intende ciò che è autentico, ma s’intende ciò che non è autentico. A meno che non si sia venuti a conoscenza di ciò che è autentico, questi nomi sono nel mondo per ingannare e nella nostra confidenza con la realtà, Essi trovano la loro fine: ma la realtà si esprime nelle cose terrestri e con i nomi del mondo a questo motivo, che non è possibile apprendere senza distinguere e non è possibile l’Essere senza Coscienza. La realtà unica è molteplice a suo ed a nostro vantaggio, per esistere essa stessa e per insegnarci a riconoscerci noi stessi come déi, come “Tutto” di cui essa è specchio e come parte di cui essa è il tutto (cfr. Filippo, 11-12).


Esiste solo ciò che sia scorto da qualcuno, in un qualche istante e in un qualche modo: l’origine è la notte, perché se nessuno guarda, niente esiste. La notte si rompe nell’ardore di colui che guarda e nel grembo di colei ch’è guardata e nella luce dell’amplesso emerge l’Essere, che è Dio in quanto Padre, in quanto Madre e che genera in sé la parola, il senso dello sguardo e di Dio e della realtà intera in quello sguardo. Il principio è la parola, parola che è presso Dio e che è il senso di Dio e che è Dio: tutto è retto per mezzo di lei e senza di lei niente è sussiste di tutto ciò che esiste; in lei è la luce e la luce è l’esistere della realtà e la vita degli uomini. La realtà è il Padre e la Madre che s’incontrano, come due triangoli formanti una stella a sei punte: alto, basso, avanti, dietro, destra sinistra; la realtà ha tre assi, dell’energia, del tempo e dello spazio. Non si conosce che per comparazione e non si da realtà, fuori dalla coscienza: la coscienza risiede al centro della stella, nel settimo giorno del riposo vigile di Dio e della ricerca divina degli uomini.


Ciò che il Padre e la Madre sono in cielo, il maschio e la femmina sono l’uno per l’altra sulla terra: essi camminano nella propria divinità e sussistono in quanto coscienti, apprendendo il bello attraverso il male ed il male attraverso il desiderato. Il maschio si lascia sedurre dalla femmina e la guarda, la femmina si lascia sedurre dal serpente e si fa vedere dentro, generando il frutto di luce che è la conoscenza e cioè l’Essere: il frutto dell’albero della conoscenza è il motivo del loro sussistere, il motivo del loro dolore ed il motivo del loro essere Dio. Quando il Figlio dell’Uomo, che si guarda la pancia, si sacrifica per il Figlio di Dio, che guarda l’ombelico del mondo, la scala del paradiso si ripristina nel desiderio che è Amore; la scintilla nel maschio e nella femmina ricordano se stessa e ricordando torna ad essere; tornando all’unità, scopre la sua vera volontà e nella sua vera volontà, essa riconosce Dio. Dio è l’Essere, l’Essere è sguardo generante e l’Amore è la scintilla della volontà: Amore è la necessità e la luce, Amore sotto la volontà.

venerdì 2 giugno 2017

Cristianesimo e simbolo. XIV interrogazione

Avendo affrontato la genesi delle Scritture e della dottrina cattolica tradizionale, su di esse fondata, da ora in avanti proseguiremo affrontando l’evoluzione dei simboli cristiani nelle epoche successive “onde poter cogliere in essi quel filo d’oro per il quale la spiritualità occidentale s’è districata nel labirinto della Storia”. Prima di procedere con l’articolazione di un Cristianesimo esoterico coerente, ovvero dotato di una simbologia organica ad una metafisica sistematica e ad una prassi operativa efficace, secondo i presupposti definiti nell’articolo precedente (ontologia eternista; «visione religiosa non di tipo rivelato e dogmatico, ma sapienziale per quanto riguarda la ricerca scientifica dei dati e la logica della loro ricomposizione, nonché empatica per quanto riguarda la percezione di sé verso la realtà»; etica olistica), ritengo sia necessario rispondere a tre domande preliminari: 1) entro quali termini ci si può ancora definire “cristiani”? 2) Che esigenza ci sarebbe, di doversi continuare a definire “cristiani” una volta superata la prospettiva della propria Chiesa tradizionale d’appartenenza? 3) E’ possibile auto-iniziarsi ad una nuova forma esoterica di Cristianesimo? Per quanto concerne il primo punto, ci sono da mettere in chiaro un paio di questioni: la prima è che il nome “cristiano” è tradizionalmente legato a tutti coloro che fanno dell’insegnamento del Cristo (ovvero alla figura mitica riferentesi al rabbino palestinese Jeshua) il “punto di convergenza” della propria visione religiosa e/o spirituale e/o filosofica. Sin dai primi secoli, ci furono: cristiani che vedevano nel Cristo il simbolo del rinnovamento umano di ciascuno; cristiani che vedevano nel Cristo il rabbino morto per mano dei romani; cristiani che vedevano nel Cristo il redentore divino morto e risorto per i peccati del popolo ebraico, piuttosto che dell’umanità intera. Ciò che accomuna i cristiani di tutti i tempi sono in pratica alcuni concetti ineliminabili: A, centralità della figura del Cristo –sebbene ora intesa per la Storia universale, ora per la Storia d’Israele, ora per la storia personale di ciascun seguace; B, centralità delle idee di morte e risurrezione –sebbene ora intese in senso concreto, ora in senso energetico, ora in senso solo metaforico; C, riferimento ultimo ad un dio di luce in qualche modo riferito al Cristo –suo padre? il suo mandante? il suo significato? Insomma: sebbene le contemporanee chiese cristiane maggioritarie tendano a riconoscere come “autentici cristiani” solo coloro i quali riconoscano i termini del Credo Niceno-Costantinopolitano (escludendo con ciò, ad esempio, tutti quei gruppi come i Testimoni di Geova ed i Mormoni che, pure non aderendovi, si ritengono, dal conto proprio, perfettamente cristiani), resta vero che storicamente, prima che la Chiesa si appropriasse dell’Impero Romano sotto Teodosio, la definizione cristiana, in quanto di origine pagana ed etero-attribuita, era molto elastica, circoscrivendo semplicemente chi si riferisse in qualche modo ai tre concetti di cui sopra: a questa interpretazione mi attengo anch’io.


Anche riguardo al primo punto, ritengo necessario precisare almeno un paio di nozioni e innanzitutto tengo a ricordare quanto tutta la tradizione sapienziale europea (cito Jung solo per fare un nome noto e piuttosto prossimo a noi) esorti a “non convertirsi MAI”. Per usare i più comprensibili termini della psicologia (ma il discorso sarebbe molto più complesso, riguardando la natura della memoria genetica, i problemi relativi alla reale consistenza dell’inconscio collettivo, il problema dell’eventuale realtà delle forme-pensiero, ecc.), ognuno di noi si trova a crescere in un contesto fortemente condizionato sul piano ideologico: la natura umana subisce, sin dalla sua formazione nel grembo materno, gli innumerevoli effetti del clima culturale in cui nasce e cresce ed in cui viene alimentata: cosa mangia la madre durante la gravidanza, cosa prova emotivamente la madre durante la gravidanza, quali riferimenti culturali fondano l’educazione familiare, quali simboli, quali mitologie implicite, quali concezioni del bene e del male, quale immagini archetipiche, ecc. Insomma, ancora Jung nel suo Gli archetipi e l’inconscio collettivo, sottolinea come gran parte delle nevrosi abbiano sotteso il rifiuto della propria simbologia natale e come spesso il semplice recupero di un rapporto positivo con essa, ad esempio con la ripresa seria del percorso religioso tradizionale della propria terra, gran parte dei problemi di compulsione si risolvano. Sulla scorta di quanto appena detto, aggiungerei il fatto che l’acquisizione di innumerevoli nuovi disparati elementi, quanti quelli che il percorso esoterico porta inevitabilmente ad approcciare, è possibile soltanto poggiando saldamente i piedi su di una mitologia ben nota e che possa fungere da valido elemento di sostegno psichico all’Io, da un lato (“posso osare di trasformarmi continuamente, avendo nella mia mitologia tradizionale una ‘terra franca’ in cui rifugiarmi in caso di crisi”) e dall’altro, soltanto potendo contare su un affidabile retroterra culturale “di comparazione”. Per contro a tutto ciò, ecco che di nuovo Jung c’illumina, mostrando come l’etica connessa ad una certa religiosità possa talmente confliggere col soggetto, da spingerlo inevitabilmente alla nevrosi: ci sono persone che –aggiunge il pensatore-, in un’altra epoca e/od in un altro contesto culturale, sarebbero risultate perfettamente sane. Nell’ultimo caso ora esposto, ecco che ci si trova davanti alla contraddittoria circostanza per cui un medesimo soggetto non possa fare a meno della sua simbologia natale, da un lato (e per non sentirsi smarrito e per avere qualcosa da confrontare con le novità), mentre dall’altro non risulti in alcun modo capace di coniugare le sue più intime istanze con le esigenze sociali procedenti da quella stessa mitologia: è proprio questo il caso in cui un cristiano, scopertosi incapace di reggere il peso repressivo delle dottrine ufficiali (oppure divenuto incapace di reggere intellettualmente le contraddizioni della sua religione nativa), troverebbe giovamento nell’intraprendere una revisione esoterica della propria fede, continuando a godere della sicurezza garantitagli dal muoversi tra immagini familiari.


Per quanto riguarda l’ultima domanda posta all’inizio di questo articolo, trovo necessario,anzitutto, distinguere fra occultista ed esoterista da un lato, quindi distinguere fra iniziazione regolare ed auto-iniziazione. Brevissimamente, alla fine dell'800, epoca romantica di nascita dello spiritismo occidentale moderno, i termini "occultismo" ed "esoterismo" erano pressappoco considerati sinonimi, tant'è che pure Steiner parla di "scienza occulta" facendo invece riferimento non solo a fenomeni medianici, ma ad una vera e propria dottrina iniziatica: l'Antroposofia. Il termine "esoterismo" è in effetti ben più antico di "occultismo" e nonostante abbia letteralmente davvero un significato equiparabile al secondo, la sua storia è più articolata. Nell'accademia ateniese e prima ancora in quella pitagorica di Siracusa, erano detti "esoterici" tutti quegli insegnamenti riservati al circolo più interno degli allievi: il termini si riferisce quindi non semplicemente a tutte quelle realtà nascoste dalle apparenze materialiste del reale, ma a patrimoni dottrinali e simbolici organici precisi. La mia proposta, in questa sede, è quella di assumere il termine "occultismo" per distinguere quelle pratiche medianiche non convergenti in una dottrina unitaria e non rifacentesi ad una mitologia precisa; assumere il termine "esoterismo" per identificare aspetti riservati di dottrine organiche, espresse pubblicamente attraverso mitologie precise. Passando al secondo "distinguo" necessario e non volendo in questa sede affrontare l’annosa questione con cui l’argomento iniziatico è di volta in volta approcciato dalle diverse correnti esoteriche occidentali, per cui essa consisterebbe non solo nell’avvenuta presa di contatto con certi temi (piuttosto che con certi rituali), ma in un vero e proprio “trasferimento di energie” fra iniziatore ed iniziando (lasciando il compito al video di cui sopra), mi limiterò ad accennare brevemente al carattere conoscitivo della questione. Da una parte, appare del tutto evidente che una società iniziatica strutturata sia capace di fornire un’organicità di percorso del tutto improbabile per quanto concerne l’esoterista solitario e “fai-da-te”: ad ogni grado, ecco i rituali che comunicano simbolicamente i contenuti adeguati a quel livello; ecco le pratiche consigliate per interiorizzare i simboli del rituale d’accesso a quel livello; ecco una metafisica organica; ecco un’etica codificata; ecco persone precise che, incarnando ruoli precisi, fungono da punti di riferimento precisi; ecco, infine, una comunità capace da un lato di premere e dall’altro di sostenere, onde facilitare il neofita contro il rischio di perdersi per strada. Solo la strada per apprendere un metodo efficace di lavoro può richiedere all’auto-iniziato un lavoro decennale che potrebbe del tutto risparmiarsi, qualora egli fosse invece preso in consegna da una società strutturata nel modo che s’è detto: ciò nonostante, come accennavo al termine dell’articolo precedente e riprendevo all’inizio di questo, il metodo esoterico è di per sé il metodo scientifico e di conseguenza, esso è applicabile da tutti indistintamente, fondandosi sulla ricerca dei fatti. Le difficoltà più serie per il neofita consistono principalmente: I, nel venire a conoscenza dell’esistenza di certi temi; II, nel superare l’iniziale reazioni di rifiuto, quasi inevitabile davanti a temi così divergenti da quelli accademici classici; III, nel procurarsi gli strumenti filosofici e concettuali ed operativi che possano da un lato permettergli di capire il nesso fra il metodo esoterico ed il metodo scientifico e dall’altro lo guidino (parafrasando Crowley) ad utilizzare il metodo della scienza per i fini della trascendenza. E’ ciò che faremo, ristrutturando una filosofia a suo modo cristiana, d'ora in poi.