lunedì 8 luglio 2013

Fari e roccheforti



I fari e le roccheforti della legge umana, come i tribunali e le carceri, esprimono ciascuno a loro modo un giudizio sugli uomini. I fari esprimono il loro giudizio nel fatto stesso di illuminare una via, constatando di volta in volta l’ingresso in porto od il frangersi sugli scogli, delle imbarcazioni sottoposte alla loro luce: gli effetti del loro giudizio sono insomma, per così dire, nelle mani degli stessi timonieri giudicati. Tribunali e carceri impongono invece dei  modelli preposti a conservare la vita in una certa forma, a prescindere dalle esigenze specifiche di ogni singolarità che viene invece sacrificata all’arbitrio comune: la funzione giudicante del faro non intacca costrittivamente la realtà dell’uomo giunto in porto o rovinato sulle scogliere, mentre tribunali e carceri esistono proprio in funzione della loro capacità costrittiva, deterrente e retributiva, quando non addirittura punitiva.
Le roccheforti della legge umana sono istituzioni fasciste nella loro stessa radice, nel loro stesso imporsi come strumenti per il conformismo sociale: sono strutture della volontà di potenza, per le quali si pretende che la vita reale si pieghi a quella ideale, ossia a quella di chi intende il pensiero come qualcosa di separato e di più nobile del corpo. Le roccheforti della legge umana piegano la libera ricerca ed espressione personali, pure per nobili fini, ad un modello preordinato di uomo e/o di bene, stabiliti entrambi di autorità: autorità di un singolo, di un’elìte o di una maggioranza.
Mentre i fari presuppongono la capacita e la risoluzione umane per la sequela della loro luce, i tribunali e le leggi e le carceri si regolano pessimisticamente su di un modello negativo di uomo: se i costruttori di un faro pensano al buon marinaio che sinceramente si impegna ad evitare il naufragio, i legislatori umani pensano necessariamente al peggiore degli uomini e al “come fare” per neutralizzarlo. Le roccheforti della legge umana sono pertanto istituzioni nichiliste nella loro stessa radice, per il fatto stesso di esistere.
Si potrà ritenere ora che sia impossibile amministrare la giustizia senza leggi e senza tribunali e senza istituti correttivi, retributivi o addirittura punitivi: tanto più si potrà ritenere che sia del tutto campata in aria l’idea di vivere senza una qualche forma di amministrazione della giustizia. Ma che cos’è la giustizia, se non il dare a ciascuno il suo e non invece a tutti lo stesso? Che cos’è allora una legge giusta, se non l’offerta di una luce verso il porto in cui ciascuno condurrà la propria vita per ciò ch’egli è? Che cos’è una legge giusta se non un faro e che cos’è la giustizia, se non l’approdo del savio, piuttosto che il naufragio dello stolto? Le roccheforti della legge sono istituzioni del tutto paternalistiche, per il solo fatto di esistere: esse si arrogano il diritto di decidere per l’uomo egoista e fanciullo, incapace di gestirsi da solo e di affrontare da solo le conseguenze delle sue azioni. Conseguenze di azioni antisociali possono essere, del resto, il biasimo come l’emarginazione, la cattività come il linciaggio: ma titolari delle conseguenze sono le vittime dei soprusi, intese singolarmente o socialmente. Il singolo o le società che vantano il diritto di reagire giustamente al male, però, sono entità reali, concrete e concretamente toccate dal male loro fatto: gli atti di ciascuno sono sotto il vaglio della sensibilità di chi li riceve: è questo l’unico modo per rendere giustizia della perdita subita dalle vittime che restano. Avere in mano il destino del malfattore pone la vittima nella condizione, di tutta serietà, di stabilire che fare del carnefice; stabilire che fare del carnefice non può essere un’opera di mediazione, ma solo il frutto reale di come si vede e si vuole il mondo: anche per il carnefice.
Fintanto che qualcuno si arrogherà il diritto di decidere per le vittime la sorte del carnefice, il carnefice potrà appellarsi ai cavilli della legge e chi amministra la giustizia si arrogherà il diritto di decidere per tutti il destino della società: il carnefice, quindi, potrà fare valere le proprie risorse appetibili a chi gestisce la società e la società, quindi, non apparterrà a coloro che la vivono e le danno corpo, ma a coloro che la etero-dirigono. I carnefici resteranno distinti dai loro mezzi di persuasione del potere. Le roccheforti della legge sono roccheforti del potere che gestisce la legge ed il potere è sempre corruttibile dai carnefici, nella proporzione in cui questi possono procurare vantaggi di qualsiasi tipo al potere stesso: mentre la sete di giustizia di un padre che vede uccisa la figlia, non può ammettere risarcimento in moneta.
Si potrà obiettare, a questo punto, il fatto che una visione pessimistica dell’uomo sia giustificata dal bisogno che ogni uomo ha nel vivere e dal conflitto inevitabile tra i bisogni di ciascuno contro quelli dell’altro: ci si dimentica però che ciò non basta ad escludere le implicazioni di potere e di nichilismo e di paternalismo e di fascismo delle roccheforti della legge. Ci si dimentica dell’esistenza dei fari, come della voglia umana di seguirli una volta trovatili e dell’inevitabile giustizia che la vita a quel punto impone ai suoi naviganti, tra il salvarsi in un attracco e l’affondare speronati dalle rocce di una costa frastagliata.

BIBLIOGRAFIA di riferimento:

PASOLINI P. P., Scritti corsari, Garzanti, Milano 2007.

7 commenti:

  1. Mi sono state mosse un paio d'obiezioni. La prima sta nel fatto che mentre la legge umana non ha pretesa d'assoluto, essendo di volta in volta revisionabile, la luce del faro mantiene l'assoluta pretesa di indicare l'unica via per il porto. E' senz'altro vero, ma il problema è a mio avviso mal posto. La legge umana, pure relativamente al suo periodo d'applicazione, ha in effetti pretese assolute: se è vietato fare sesso con una minorenne, ciò resta vietato PRESCINDERE dal fatto che quella minorenne, magari anche a poche ore dal compimento della maggiore età, fosse consenziente o matura abbastanzada vivere positivamente quel rapporto. La volontà di trattare umanamente una persona con la quale si vive un'esperienza sessuale (FARO), per contro, non sta a vedere all'età, ma, nel suo apparente assolutismo (questo è bene e quest'altro è male) sa discernere se nel caso specifico una ragazza diciassettenne possa essere stata trattata umanamente o un donna cinquantenne possa essere stata strumentalizzata. Insomma, sul dato dei fatti a me pare che le cose stiano, nonostante la logica dell'obiezione, esattamente al contrario.

    La seconda obiezione mi accusa di mettere il carnefice nella mani dell'arbitrio delle vittime, nel tentativo di sottrarla all'arbitrio corruttibile degli esercenti della legge. Anche questa osservazione ha senso. Ma, anzitutto, chi ha subito un danno nella propria carne NON E' ALLA PARI con chi giudica dall'esterno. In seconda istanza, il post parla di un faro che volesse esserre custodito anche dalla vittima: la vittima condanna il carnefice alla luce del faro, ossia filtrando nel proprio dolore la voglia di realizzazione del carnefice, in funzione del bene comune. Ora è ovvio che io parli di un'umanità superiore: superiore, ma non fuori dalla portata dell'umanità come io l'ho incontrata.

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    1. Eva, hai ragione: sono alla ricerca di "nuove parole", però. Come descrivere, con lo strumento povero della parola, un'esperienza personale? Senza relativizzare tutto alla propria immanenza e allo stesso tempo senza chiudere la porta in faccia al nuovo che potrei incontrare, intendo. IO può essere un contenitore in cui riduco la realtà che vivo, ma anche forse, allusivamente, un modo per fare riferimento al soggetto continuativo e non esauribile che quell'esperienza ha vissuto e filtrato. Quando si usano le parole, tutto dipende dalle categorie usate, purtroppo.

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  3. ps: ma perché l'orologio del mio blog è sballato?? -____-"

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  4. Fai una cosa semplice: quando scrivi evita di ripetere il soggetto in prima persona
    (Esempio: invece di: "Ora è ovvio che IO parli di un'umanità superiore: superiore, ma non fuori dalla portata dell'umanità come IO l'ho incontrata", prova a fare: " Ora è ovvio che parli di un'umanità superiore: superiore, ma non fuori dalla portata dell'umanità [così] come l'ho incontrata). intuisci che succedde? IL MONDO REGGE COMUNQUE!

    EVA.

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    1. Ahahah certo! Da una parte mi sembra una questione solo formale; dall'altra è pur vero che forma e sostanza, in quest'angolo di universo, sono spessissimo in condizionamento reciproco stretto, se non proprio, esattamente, la stessa cosa. Lo terrò conto come esercizio: chissà che produca effetti sul lungo periodo. Grazie ;)

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