domenica 12 marzo 2017

Cristianesimo e simbolo. V kerygma (2a/3)

Del serpente ho già scritto innumerevoli volte in innumerevoli articoli. Nel brano in questione non si parla mai di demoni o di diavoli, ma si dice esplicitamente che il serpente sia un animale, «la più astuta di tutte le bestie selvatiche» (Gn III, 1). Il serpente è un elemento tra i più classici della simbologia universale: le sue qualità consistono nel somigliare ad un fallo che penetra la terra; nel cambiar pelle; nell’esser un predatore implacabile e silenzioso, capace di muoversi nei più diversi ambienti (acqua, terra, alberi). Per restare nel Pentateuco, subito dopo il libro di Genesi, il serpente compare in Esodo tra le mani di Mosè che, nella sfida contro i maghi del faraone, riesce a trasformare il proprio bastone in questo animale (Es VII, 8-20); compare in Numeri XXI nella scena delle polemiche del popolo, in fuga dall’Egitto, contro Dio, il quale fa sorgere allora dal deserto una miriade di serpenti nocivi il cui veleno sarò vinto soltanto da un’effige di rame del serpente, issata su un palo. Universalmente, il serpente indica la padronanza dei quattro elementi (fuoco, grazie al suo associarsi al desiderio; acqua, poiché nuota; terra, poiché striscia; aria, poiché si arrampica); indica la salita e la discesa fra i tre livelli della coscienza (acqua, istinti; terra, azione; alberi, pensiero); indica la scienza, la fecondità ed il possesso in tutte le sue accezioni, grazie al suo gesto di penetrare; indica la morte e la guarigione, grazie al suo veleno (gr. φάρμακον, pharmakon, “pianta curativa” o “veleno”. Da notare che pharmakos era il nome di un rito di purificazione consistente nell’espulsione del male tramite l’ausilio di un capro espiatorio: questa prassi sarà attestata nell’ebraismo fintanto che sussisterà il Tempio di Gerusalemme e l’uso dei sacrifici animali); indica l’acume, per le abilità predatorie ed il rinnovamento per il cambio di pelle.


Negli episodi biblici di Genesi III, Esodo VII e Numeri XXI il serpente assume le sue qualità simboliche con connotati specifici: cominciamo dagli ultimi due. Il bastone di Mosè, nei racconti biblici dell’esodo, è l’oggetto per il quale Dio manifesta la Sua Potenza in mezzo al popolo, attraverso il Suo Messia: il bastone sale verticalmente dalla terra al cielo e si conficca dall’alto verso il basso; serve da sostegno e da arma, quindi è un elemento che esprime potere e comando. Il bastone di Mosè si trasforma in serpente, ma lo stesso prodigio riesce ai sacerdoti egizi, detentori dei misteri religiosi del faraone: mi pare chiaro che, nel contesto, il serpente illustri un conflitto fra due tipi di conoscenza, quella del Dio che si rivela direttamente e quella iniziatica ed occulta dei maghi. In Numeri XXI il popolo è stato appena sconfitto dai Caldei nel suo tentativo d’aprirsi un varco in Palestina: sorge la mormorazione e il dio padrone “rassicura” i suoi facendo sorgere dal suolo una miriade di serpenti, pronti a sterminali col veleno. Nel contesto della mormorazione, la moltitudine di serpenti rappresenta l’aspetto frammentario delle esperienze: il popolo di Dio assolutizza il determinato episodio della sconfitta e ne fa il paradigma unico da usare nel suo giudizio sull’operato di Dio: la soluzione starà nel fissare lo sguardo sull’Unico serpente di rame issato da Mosè su un palo, icona la quale rappresenta invece il dovere, per Israele, di mantenere uno sguardo unitario,globale”, sulla storia della propria relazione con YHWH. Da quanto detto possiamo vedere che, nel Pentateuco, il serpente ha sempre una valenza sapienziale, la quale però, a maggior conferma dell’impianto “monolatrico” (“quanti che siano gli déi, noi uno solo ne adoriamo”) progressivamente assunto dai testi, scade in conflitto (“che conoscenza?” Esodo) e confusione (tra circostanze e sostanza: Numeri) ogni qual volta il numero di serpi ecceda l’unità. 


Tornando ora ad Adamo ed Eva, vediamo che soltanto con la donna il serpente parla. Il serpente parla la stessa lingua della donna, dettaglio ancora più curioso se si pensa al fatto che Dio, il comando (cfr. Gn II, 15-17) di non toccare l’albero oggetto di contesa, lo dà al solo uomo, prima addirittura che la donna venisse all’essere. Dio s’impone sulla coppia attraverso il comando dato ad Adamo, mentre il serpente s’impone sulla coppia discutendo con Eva: siamo certamente davanti ad una rappresentazione del duplice aspetto dell’umanità, qui illustrato nei  due membri della coppia originale. Adamo, il maschio, è il custode di un ordine ideologico di cose (YHWH) che s’identifica con la legge, mentre Eva, la femmina, è ricettacolo d’un divenire vitale (generazione, scoperta, discussione) che s’identifica con la frattura dell’ordine costituito, attraverso l’irruzione dell’istinto di sopravvivenza (serpente). Nietzsche assocerebbe forse Adamo ad Apollo ed Eva a Dioniso; Jung assocerebbe forse Adamo all’Ego ed Eva all’Ombra; l’esegesi ebraica del brano, dal canto suo, sostiene da sempre la suddetta interpretazione, ricordando che, essendosi la prima coppia subito dopo coperta con delle foglie di fico, proprio un fico sarebbe potuto essere l’Albero della Conoscenza del Bene e del Male. Il frutto del fico ha, nella simbologia di pressoché tutti i popoli (il Buddha stesso riceve l’Illuminazione sotto un fico) delle curiose caratteristiche di tipo ermafrodita: chiuso, somiglia ad uno scroto contenente testicoli; inciso, lascia fuoriuscire un latte simile allo sperma; aperto, è da sempre e ovunque associato alla vagina, sia per il suo colore rosato, che per il gusto dolce e la consistenza morbida e cedevole. Il tema della dualità, introdotto dalle polarità rappresentate dai due termini della coppia dei progenitori; dal conflitto Dio vs serpente ed ordine costituito vs vitalismo; dalla duplicità degli alberi e dall’ambiguità del fico, sarà approfondito con la lettura simbolica degli altri elementi costitutivi della narrazione.

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