martedì 7 marzo 2017

Cristianesimo e simbolo. IV primo sommario

Siamo giunti ad una preliminare ricapitolazione del lavoro fino a qui intrapreso con questa serie d’articoli:

I, presupposti (come racconti fantastici legittimino una lettura simbolica);
II, genesi (1/3 – Adone e Zoroastro nelle fondamenta del Cristianesimo);
II, genesi (2/3 – Essenismo, Ellenismo, Rabbinismo e primo Cristianesimo);
II, genesi (3/3 – Sabbatei Zevi, Paolo di Tarso ed il messianismo ebraico);
III, costituzione (1/3 – Documenti storici sulle origini del canone del NT);
III, costituzione (2/3 – Questione sinottica e cronologia redazionale del NT);
III, costituzione (3/3 – Evoluzione delle dottrine paolina e neotestamentaria).

In questa sede affronterò, alla luce di quanto già esposto, i temi fondamentali della differenza fra il Cristo della fede ed il Gesù storico, della Risurrezione e della relativa Redenzione, nonché dell’attribuzione delle stesse all’uno, piuttosto che all’altro. Ho mostrato come il Cristianesimo (non solo) delle origini, abbia tali e tanti punti di contatto con mitologie precedenti da “quasi” costringere a pensare che proprio queste siano state il “bacino” a cui esso abbia attinto per costituire la propria dottrina: da una parte, a me pare molto più probabile questo che non la tesi patristica, a mio avviso inaccettabile, secondo cui Dio avrebbe guidato la produzione di un evento storico in tutto simile ai preesistenti miti (cfr. Giustino Martire); dall’altra, è vero che, almeno in linea teorica, resta legittima pure l’ipotesi cattolica secondo la quale Dio, inserendosi nel “tessuto” della storia, abbia portato provvidenzialmente gli uomini a maturare un’idea precisa su di Lui proprio attraverso una serie di tentativi parziali, quali quelli di altre religioni, miti e filosofie preesistenti.


Trovo necessari alcuni chiarimenti. Anzitutto, dire che Dio abbia guidato i tentativi umani di comprenderlo affinché questi un giorno fossero premiati attraverso la scoperta della “vera religione”, mi pare destabilizzi seriamente il concetto abramitico di rivelazione, secondo il quale invece Dio, in prima persona, si sarebbe mostrato faccia a faccia agli uomini: o Dio ha guidato la Storia verso la verità o s’è affacciato dal cielo per mostrarla. Francamente, mi pare ridicolo che Dio abbia guidato l’umanità per una serie di tentativi erronei, se già aveva in mente di rivelarsi direttamente; per la Chiesa, Dio avrebbe agito in modo apparentemente contraddittorio affinché la rivelazione, parlando una lingua divenuta oramai consueta agli uomini tramite i simboli di miti preesistenti, fosse da questi comprensibile (è la dottrina della cosiddetta pedagogia divina): a me pare una tesi molto simile a quella usata per coniugare (male, direi) l’evoluzionismo con l’idea di un Creatore e ritengo che non ci voglia molto a capire un morto che risorge, così come non ci sia bisogno, per un dio creatore, di fare stragi di dinosauri e scimmie prima d’arrivar a produrre la Sua umanità senziente. Almeno sull’evoluzionismo, un credente potrebbe obiettare che la nozione religiosa di creazione indichi che la realtà trovi in Dio la propria sostanza, ma a questo punto bisognerebbe ammettere d’essere passati dalla lettera al simbolo, rispetto alla dottrina creazionista: sarei d’accordo ed anzi, quest’approccio è proprio quello che intendo argomentare e promuovere con questa serie.


Senza “metter in campo” argomenti di tipo metafisico, ma limitandomi all’uso del buon senso, direi che la risurrezione di Gesù, anche alla luce degli innumerevoli miti analoghi preesistenti, imponga una presa di posizione radicale fra non più di tre opzioni: 1) essa è avvenuta, il suo significato è nell’evento stesso e consiste nel fatto che Gesù sia il dio vero - chi sceglie questa opzione, si troverà nella fatica di spiegare come mai di tanti altri, prima di Gesù, le religioni dicano siano risorti; 2) essa è avvenuta, ma il suo significato è simbolico e sta nel fatto che chi è come Gesù, come Gesù risorgerà - chi sceglie questa opzione, si troverà nella fatica di spiegare come mai Gesù solo (od al massimo anche Osiride, Dioniso ecc.) sia risorto in forma corporea ed a ridosso della sua morte fisica, mentre tutti gli altri martiri della storia, a quanto pare, si dovrebbero accontentare d'esser vivi in qualche altra dimensione e solo nella forma d'una presunta anima; 3) essa è un simbolo che si ripresenta, sotto le parvenze di racconti pseudo-storici, per illustrare miticamente la condizione di chi giunge a viver “intensamente” (la risurrezione, insomma, sarebbe il simbolo di un rinnovato rapporto con la realtà, causato da un percorso iniziatico di maturazione e non un superamento della morte fisica). La prima ipotesi pretende che, di una miriade di racconti religiosi di risurrezione, soltanto uno sia vero nonostante risulti confrontabile con gli altri in tutto e per tutto; la seconda ipotesi pare capace d’ammettere la presenza di più persone che storicamente siano risorte (il che renderebbe, certo, molto più semplice giustificare la predicazione paolina sul risorto, quando i testimoni oculari di Gesù erano ancora vivi), ma si trova davanti ad un dilemma esistenziale: «se dai fatti paiono risorgere in maniera visibile soltanto pochissimi esseri (speciali, poiché l’annuncio della loro risurrezione – ammesso che sia avvenuta – non è associata all’insegnamento di alcuna via per la quale qualcuno sia riuscito, prima o poi, ad “imitarla” tornando in vita a sua volta) come Gesù, Osiride, Dioniso, ecc., perché il loro risorgere dovrebbe interpellarmi eticamente?». Io propendo per la terza ipotesi: la risurrezione è un evento esistenziale ovvero sapienziale, il cui valore per l’eternità sta nel fatto che ciascuno esiste eternamente per ciò che di sé esprime (o non esprime) progressivamente nel tempo della sua vita. Riassumendo: che il Gesù storico non coincida affatto col Cristo della fede, mi pare d’averlo dimostrato ampiamente nelle precedenti trattazioni: mentre solo la prima e la seconda ipotesi possono essere ascrivibili anche al primo, la terza può essere riferita solamente al Cristo, inteso come un personaggio mitico venutosi a costituire, all’interno di un culto, grazie alla sovrapposizione di simboli sapienziali sulla vicenda concreta d’un profeta storicamente venerato. Riguardo la risurrezione, mentre l’ipotesi ch’essa riguardi storicamente solo Cristo fra tutti i miti pare semplicemente faziosa e mentre l’ipotesi d’un evento storico, ma elitario, risulta incapace d’incidere eticamente sulla vita di noi comuni mortali, direi che, l’ipotesi d’un senso simbolico di segno sapienziale di tale mito, sia l’unica davvero capace di suggerire uno stile di vita orientato ad esso, finalizzato cioè a percepire la vita nel modo specifico indicato di volta in volta da ciascun "risorto" di ciascun culto della Storia.


La risurrezione è legata nella dottrina alla redenzione dal Peccato Originale, una tesi religiosa che, abbiamo visto, compare già nello Zoroastrismo: la morte/risurrezione di Cristo emerge dottrinalmente in Paolo come il sacrificio espiatorio capace di cancellare la colpa dei progenitori, ma questa colpa non risulta affatto dalla tradizione interpretativa ebraica del famoso passo di Genesi riguardante Adamo ed Eva. Secondo il quotato forum Consulenza Ebraica, il serpente è l’immagine figurata delle pulsioni istintuali, le quali precederebbero la caduta della prima coppia ed anzi ne sarebbero la pre-condizione: non sarebbe a causa della caduta, che Adamo ed Eva avrebbero assunto le pulsioni carnali; sarebbe a causa delle pulsioni carnali, rappresentate dal serpente, che Adamo ed Eva sarebbero anzi caduti. L’episodio del cosiddetto “peccato originale”, a giudizio dell’interpretazione ebraica, costituirebbe la rappresentazione mitica della costante lotta che l’umanità sostiene tra la scelta di assecondare la propria natura e la scelta di castrarla, restando in ginocchio davanti a YHWH: il collegamento fra il sudore della fronte, il doloroso parto e la vita istintuale, non sarebbe che un’associazione logica fra elementi del medesimo contesto. Già ai tempi dei primi cristiani, come ho spiegato, è possibile notare la suddetta divaricazione circa gli atteggiamenti in merito alla risurrezione: alla comunità che si riferisce al VT non interessa niente del ritorno dai morti, in quanto essa ritiene la risurrezione come simbolo esistenziale, preferendo concentrarsi infatti sugli insegnamenti del maestro; per Paolo, conta soltanto che Gesù sia risorto e non la sua biografia, in quanto egli riconosce la vittoria sulla morte come il gesto salvifico che giustifica la Sua venuta; i vangeli canonici mediano, derivando la propria soteriologia (dottrina della salvezza) da Paolo, ma includendo detti di VT riadattati e cercando di appagare anche la curiosità dei lettori circa la biografia del Cristo. Qualunque fazione del sec. I avesse "ragione", c'è da ammettere che l'associazione paolina posta fra morte/risurrezione di Cristo e Peccato Originale, quando per certo quest’ultimo non è che una dottrina presa altrove, mina alle fondamenta la storicità del Kerygma.

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