sabato 11 marzo 2017

Cristianesimo e simbolo. V kerygma (1/3)

Entrando nel vivo, ovvero nel tema dell’interpretazione simbolica della dottrina del NT anzitutto e quindi del Cattolicesimo (che, piaccia o non piaccia ai riformati, ne è effettivamente una diretta emanazione), in questo articolo affronterò ciò che in precedenza ho fatto emergere come il “cuore” stesso del Cristianesimo paolino: la redenzione dal Peccato Originale, grazie all’unico evento salvifico che sarebbe stato la passione-morte-resurrezione-ascensione di Gesù di Nazareth. Il tema del Kerygma si divide in due aspetti fondamentali, a ciascuno dei quali dedicherò una delle due parti successive a questa, ch’è di carattere introduttivo, in cui questo articolo sarà diviso: nella prima approfondirò la lettura simbolica, anche appoggiandomi alle omelie esegetiche tenute dal biblista cattolico (contemporaneo) riminese (don) Carlo Rusconi, della caduta dei progenitori, cioè della causa che la dottrina del NT adduce a motivo dell’intervento divino tramite il suo supposto Figlio, il Cristo; nella seconda parte, sposterò invece l’attenzione sull’evento salvifico, circa il quale permane ancora la “sospensione di giudizio” fra le tre ipotesi a riguardo da me avanzate nel primo sommario di questa serie. Confrontiamo:

La prima creatura umana, Gayo Maratan (o Gayōmart, «il vivente», «il mortale») venne tentato da Angrā Mainyu; dopo la sua morte, dal suo seme nacque la prima coppia dei due sessi, Mashya e Mashyai, dai quali tutti gli uomini discendono. Il più importante personaggio della più antica storia dell’umanità é Yima; egli era un pastore che viveva in una sorta di paradiso terrestre, conducendo un’esistenza beata e godendo della piena fiducia di Ahura Mazdā. A un certo punto Yima cadde nel peccato della menzogna e per questo venne allontanato dalla terra felice in cui aveva vissuto, e fu costretto a riconquistare con i meriti lo stato di beatitudine perduto” (G.J. BELLINGER, «Zoroastrismo», in: Religioni, Garzanti, Milano 2003, pp. 743, 744).

« Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò […] All'uomo [Dio] disse: "Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita.  […] Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da dove era stato tratto » (GENESI I, 27. III, 17.23).

Come accennai già in II, 1/3 il Peccato Originale nasce nella religione zoroastriana, ben più antica di quella biblica. Se non bastasse il carattere favolistico (col serpente che parla, gli alberi speciali ecc.) della vicenda, a dimostrare che il brano vada inteso in senso mitico anziché storico, aggiungerei che, qualora si volesse insistere che l’evento sia davvero accaduto in un’epoca imprecisata, ma storica, non sarebbe possibile considerare inventata la sua formulazione iranica più antica e contemporaneamente considerare autentica la sua formulazione biblica più recente: se è falso l’originale antico, va da sé che sia falsa anche la copia più recente. Se fosse autentica la copia, lo sarebbe nella misura in cui restasse fedele all’originale e perciò i cristiani dovrebbero necessariamente assumere come loro narrazione (della caduta) di riferimento quella zoroastriana e non quella biblica… a meno che non avessero la gran faccia tosta di dire che gli unici dettagli storici della vicenda siano quelli biblici che differiscono dal racconto zoroastriano (il serpente e gli alberi): anche in quel caso, però, mi sarebbe facile notare che a determinare la dottrina paolina della redenzione sia la disobbedienza in sé (ovvero ciò che accomuna i due racconti) e non i dettagli (differenziati) circa i modi.


Se, per ovviare ai suddetti e gravissimi problemi di coerenza insorgenti (per la dottrina cristiana paolina) dal considerare storico l’evento della caduta, i cattolici giungessero ad ammette che l’episodio non sia mai accaduto nel mondo reale, si troverebbero davanti ad un nuovo bivio: il racconto significa comunque qualcosa, in un qualche modo o non significa proprio niente, essendo mero esercizio di creatività narrativa? Se optassero per la seconda ipotesi, i paolini sarebbero costretti ad ammettere che la Bibbia, presunto libro ispirato da Dio, contenga anche brani privi di qualunque utilità o significato: a quel punto, continuare a sostenere che da esso siano estraibili verità rivelate, sarebbe a mio avviso pressoché impossibile (nel senso: se alcuni passi della Bibbia non significano niente, come distinguerli da quelli di valore religioso ed ispirati da Dio? In base alla loro credibilità? Dunque come andrebbe distinto ciò ch’è credibile da ciò che non lo è? Grazie all’esperienza della Chiesa riguardo Dio? Dunque, se l’esperienza della Chiesa su Dio fosse il criterio per la conoscenza di Dio, a cosa diavolo servirebbero delle Sacre Scritture? E via dicendo). Se i cristiani optassero finalmente e come a me pare logico fare, per la validità simbolica del racconto della caduta, essi da un lato “tamponerebbero” sul fronte dell’utilità sapienziale delle Sacre Scritture, ma dall’altro sarebbero costretti a rivedere drasticamente e per sempre in termini simbolici anche tutta quanta la dottrina della redenzione del Cristo: se Paolo dice infatti che Cristo è morto e risorto per emancipare l’umanità dal Peccato Originale, ma questo non è mai accaduto, è facile capire come anche il “movente” del sedicente salvatore verrebbe semplicemente meno. Se la caduta non c’è mai stata, Cristo non può essere morto e risorto per rimediare ad essa: cosa sarebbe venuto a fare, allora, non avendo con tutta evidenza egli né posto fine ai peccati personali, né alle semplici tentazioni, né instaurato il regno messianico sulla Terra? Lo vedremo nella terza parte dell’articolo: nella prossima, procederò con l’unica azione ancora a mio avviso praticabile dopo il ragionamento di cui sopra: la decodifica mitologica del brano narrato in Gn III. Gli elementi “chiave” di cui ricercare il valore simbolico, al fine di comprendere la consistenza del solo Peccato originale, sono a mio avviso: il serpente; il nome, il ruolo e la collocazione dei due alberi speciali (Gn II, 9: «l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male»; Gn II, 17: «dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti»; Gn III, 3: «del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete»); il tipo di desiderio che muove i peccatori; le conseguenze del peccato.

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