martedì 2 agosto 2016

6/3-a. E pluribus unum

Volendo illustrare sensatamente il significato simbolico dell’altare cattolico, pare indispensabile partire da molto lontano e procedere articolando la conoscenza per strati, come in ogni iniziazione che si rispetti. Come ogni processo iniziatico avviene tramite passaggi che ne segnano le tappe, così il discorso sull’altare necessiterà di suddividere l’articolo in più di una parte, per non disperdere l’attenzione ed allo stesso tempo non sorvolare su questioni indispensabili a giungere a un “dunque” significativo.


Lo schema pitagorico della Tetraktis mostra con simbologia numerica quanto già esposto nel primo articolo: l’Essere (1) può essere conosciuto solo per comparazione (2) dalla coscienza (3) che sostiene la realtà (4), che a questo punto si mostra come il “prodotto” di una differenziazione (“degradazione”) dell’Essere stesso. Platone, nel mito della caverna, traduce in termini divulgativi la concezione pitagorica: la materia, che pure nelle sue ombre ci lascia intravvedere una parvenza di ciò che dev’essere, è per altri aspetti una fitta coltre che nasconde alla coscienza l’unità del reale (per le conseguenze antropologiche e gerarchiche di questi presupposti, cfr. articolo precedente). Alla luce delle semplici nozioni di cui sopra, si può già comprendere il senso con cui il popolo d’Israele, dalla cui liturgia deriva in gran parte quella cattolica, concepì dapprima la tenda dell’Alleanza e poi il velo del tempio: ermetismo pitagorico e liturgia ebraica infatti, pur non essendosi presumibilmente contaminati direttamente se non dalla deportazione in Babilonia (sec VI a.C.) ed ancor più in epoca ellenistica (sec II a.C), risalirebbero (seguendo per il mondo la “catena” dei simboli) ad un’unica matrice egizia, la quale a sua volta avrebbe ereditato dalla cultura mesopotamica le nozioni che furono già delle culture ariane della valle dell’Indo. Il principio è molto semplice: se lo stato materiale dell’uomo è una degradazione dell’Essere, il riscatto dell’uomo consisterà nel risalire dal molteplice all’Uno, dall’apparente caos del diverso alla semplicità ordinata ed eterna di Dio.


Si può ora affrontare il concetto di sacro, che letteralmente significa “separato”. Come illustra bene Frazer nel suo capitale lavoro Il ramo d’oro, la prima fonte del sacro è la sopravvivenza: l’uomo tende per logica a prestare preziose cure per tutto ciò da cui ritiene dipendere la sua sussistenza, come il fuoco, l’acqua, gli alberi (che verranno concettualizzati nell’elemento aria) e la terra, in primis; persone ritenute depositarie di ruoli importanti (esperti, anziani, madri, guaritori, maestri, guerrieri) in seconda istanza. Nella misura in cui egli attribuisca a una divinità o ad un’idea un ruolo importante per la propria salvezza, l’uomo valuta come sacre anche tutte quelle organizzazioni, quelle persone (sacerdoti), quei luoghi, gesti e strumenti, sociali e cultuali, in qualche modo connessi alla relazione con la divinità, appunto o con l’idea in questione. Ora, è chiaro che una cosa preziosa non possa essere maneggiata da tutti: se a questo dato s’associa il credo in un’emancipazione spirituale intesa come risalita dal molteplice all’unità, “il gioco è fatto”.


La nozione di tempio, nella quale s’innesta necessariamente la comprensione dell’altare, va per necessità contestualizzata in quella più estesa di sacro, la quale a sua volta implica un percorso di depurazione progressiva che, sul piano sociale, traduca il bisogno spirituale di purificarsi dagli inganni della materia. Si può notare come il popolo ebraico avesse contestualizzato se stesso nell’idea del sacro in questi termini: popolo ebreo eletto in mezzo agli altri popoli; tribù di Levi eletta in mezzo alle altre tribù; classe sacerdotale eletta in mezzo ai leviti; Sommo Sacerdote eletto in mezzo alla classe sacerdotale (n.b. quattro livelli). Il tempio ebraico, a sua volta, produceva architettonicamente (cinque livelli, quattro per Israele) un’ulteriore gerachizzazione del popolo in funzione sacrale: cortile dei gentili (anche stranieri); cortile d’Israele (solo ebrei, ma anche donne); cortili degli uomini (solo maschi ebrei); Santo (solo sacerdoti); Santo dei Santi (solo Sommo Sacerdote, solo due volte l’anno). Le informazioni acquisite in questa sede si riveleranno utili per procedere più agevolmente negli articoli successivi, dove si farà notare come non soltanto l’impianto basilicale tradizionale cattolico dipenda dalle suddette concezioni, ma la forma stessa dell’altare (cliccare sulle immagini per ingrandirle).

1 commento:

  1. Per approfondire: http://lamelagrana.net/wp-content/uploads/downloads/2011/12/Arturo-Reghini-Dei-Numeri-Pitagorici-Prologo.pdf

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