venerdì 12 agosto 2016

6/3-d. Al monte del Signore

Il viaggio simbolico che stiamo compiendo riguarda, s’è detto, un tipo specifico d’altare: quello tradizionale cattolico romano, collocabile nella sua forma più classica tra la riforma gregoriana (epoca carolingia) e quella dell’ultimo post-concilio (riforma liturgica del 1969). Nato come una tavola da cena, assunta la forma di ara in epoca pre-costantiniana ed assunti i primi elementi simbolici (forma di sarcofago e ciborio) dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, l’altare si è per secoli presentato con il senso esoterico di montagna sacra, collocata in un contesto sociale, sacrale e liturgico ricalcati sul ciclo solare ariano.


Il simbolismo ariano della montagna sacra, originario della valle dell’indo e della civiltà vedica, ha riscontri universali ed assume in ogni cultura, anche contemporanea, le forme più disparate: le quali, peraltro, non tradiscono mai la medesima origine, grazie ad elementi costanti quali la verticalizzazione, i rimandi alla pesantezza della materia alla base ed alla leggerezza spirituale (oro, fuoco, ecc.) in punta o la presenza alla base di un ingresso o parte cava che rimandi all’idea del passaggio notturno del sole nella grotta misterica. Sotto il ciborio di cui già s’è parlato, proprio la collocazione tradizionale del tabernacolo indica, nell’altare cattolico, la grotta iniziatica nella quale come in un sepolcro è deposto ad ovest l’eroe (Cristo), il quale è peraltro destinato a risorgere a nuova vita ad est, divinizzando se stesso a vantaggio del Suo popolo.


Confinato da una balaustra che stilizza l’antica iconostasi orientale (ancora oggi utilizzata dagli ortodossi a difesa del mondo invisibile dei misteri, dallo sguardo incapace dei devoti), l’altare si erge sul presbiterio, spazio sacro riservato agli iniziati (presbiteri) e perciò già rialzato rispetto alla navata dei profani (popolo). Il presbiterio si rialza simbolicamente di un gradino dal piano profano, simboleggiando così quel “+1” che, sommato all’ideale valore “4” (materia) assunto dalla navata, produce il numero vitale “5”, simbolo del punto d’equilibrio offerto dall’uomo fra cielo e terra (nel corso dei secoli e specialmente in epoca romanica, con l’espandersi del simbolismo architettonico ed il collocarsi delle cripte al di sotto d’esso, i gradini si moltiplicarono sino a diventare vere e proprie scalinate, composte il più delle volte di 4, 7, 9 o 13 gradini). Sul presbiterio, l’altare tradizionale cattolico (che per comodità sarà da ora detto “tridentino”) si erge a sua volta di tre gradini. Il 3, numero celeste delle posizioni solari durante il giorno, è a sua volta composto di 2+1 (dal basso all’alto), a rappresentare (dall’alto al basso) il rapporto che nel mistero vige fra l’unità del reale (zenith) ed il dualismo delle apparenze (alba e tramonto): non a caso, dei tre gradini che portano dal presbiterio all’altare, i primi due sono di pietra mentre il terzo, la cosiddetta predella, è in legno (“vivo”).


Un elemento architettonico orientale praticamente identico all’altare tridentino è lo stupa indiano, una costruzione, tipicamente eretta su tre gradini stondati e sormontanti un basamento quadrato, contenente le salme di santi della tradizione buddista ed utilizzati come luoghi di venerazione (sono spesso presenti alla loro base, a portata di devoto, i famosi “rulli di preghiera”). La struttura dello stupa, così come quella dell’altare tridentino, è una raffigurazione cosmologica che descrive una sacralizzazione della realtà, intesa come progressiva rarefazione verso l’alto degli elementi pesanti di questa terra. Sopra gli scalini, lo stupa come l’altare sono dei sarcofagi contenenti le spoglie di santi (elemento terra); sopra i santi, lo stupa come l’altare sono preposti al culto, momento di morte alla dimensione profana e di rigenerazione in quella spirituale (elemento acqua); sopra il piano cultuale, lo stupa come l’altare proiettano verso il cielo elementi verticali, coni dorati a 13 anelli nel caso buddista e vere e proprie candele (3+ 1 crocifisso +3 =7, numero che rappresenta il senso finale della realtà costituita nella croce solida) nel caso cattolico (elemento fuoco); sopra gli elementi verticali, lo stupa come l’altare propongono riferimenti al cielo, un luna stilizzata in varie forme nel primo caso ed il ciborio nel secondo (elemento aria); sopra il cielo, lo stupa come l’altare presentano un riferimento al mistero trascendente e originario, incarnato nel primo caso dall’uovo cosmico e nel secondo da una ulteriore croce (non più un crocifisso). Una struttura in tutto analoga allo stupa, fuorché nella funzione, è presente in Italia nel trullo: abitazione (terra cava), cisterna (acqua), copertura conica (fuoco), pinnacolo (conca celeste sormontata dall’uovo).


Tornando all’altare tridentino, se sul piano verticale la sua struttura riprende indubbiamente il cliché esoterico ariano della montagna sacra, anche sul piano orizzontale esso fornisce numerose conferme simboliche alla sua natura cosmologica. Innanzitutto gli officianti, che nel rito tridentino sono tre, stanno seduti a destra dell’altare (lato sud, lato del trionfo dell’eroe solare a mezzogiorno, ma anche lato terreno opposto a quello misterico del nord iniziatico) e stanno seduti insieme, sullo scranno ch’è uno e trino: al centro il sacerdote (l’unità sacra: non a caso il rito tridentino vieta categoricamente quella che oggi viene detta “concelebrazione”) e alla sua destra i due ministranti (dualismo) ovvero il suddiacono alla sua destra ed il diacono alla sua sinistra (non a caso, tuttora la stola diaconale è indossata diagonalmente, dalla spalla sinistra al fianco destro). Il suddiacono, figura fondamentale del culto tridentino (colui ch’era sostituito dal cosiddetto “chierichetto”, in caso d’assenza), è colui che sta sul lato maschile dello scranno e si occupa del lato destro dell’altare, ovvero dell’offertorio (che è un ruolo attivo); il diacono, presente più spesso nelle messe solenni, è colui che siede a sinistra (lato femminile) ed è preposto al lato sinistro dell’altare, ovvero all’enunciazione del Vangelo ed alla cura materiale (somministrazione eucaristica) del popolo. Il diacono, in quanto prossimo all’ordinazione presbiterale, è sul lato sinistro anche per simboleggiare il tramonto (ovest) alla dimensione mondana della vita. I due lati dell’altare si chiamano cornu, termine che se correntemente significa “spigolo”, etimologicamente deriva dalla radice sancrita (guarda caso della valle dell’Indo) “KR”, da cui derivano tramite il greco i termini corona e corno, che sono entrambi simboli di potere, di efficacia. Il culto dell’altare, sia nel suo aspetto sacrificale (liturgia eucaristica, lato destro) che in quello pedagogico (liturgia della parola, lato sinistro), viene simbolicamente offerto come strumento efficace di rinnovamento.

1 commento:

  1. Per approfondire: http://www.liceofermibo.net/docs/iniz_culturali/RENE%20GUENON%20IL%20RE%20DEL%20MONDO%20trad%20A%20Reghini.pdf

    RispondiElimina