domenica 14 febbraio 2016

Scienza Sacra e psicologia oggettiva (3)

Va da sé che ogni psicologia, in quanto sistemazione dell’esperienza dello psicologo, sia una psicologia personale: valida anzitutto, cioè, per descrivere proiettivamente i “moti interni” di chi la elabori. Sorgono a volte qua e là alcune emergenze e dinamiche archetipiche, ossia largamente documentate sia in ordine al tempo, che allo spazio, che al livello evolutivo dei popoli, le quali avvisano, all’interno di un'interpretazione psicologica, della presenza di un dato od una circostanza in qualche modo oggettivi.

Quella del “rispecchiamento” è una tipica dinamica collusiva di coppia (dove per coppia si intende qui una qualunque interazione fra due parti senzienti e propositive) che manifesta i dati dell’oggettività di specie (e non solo). Un rispecchiamento consiste in un moto proiettivo incrociato, fra due soggetti, nel quale sia ad un certo punto impossibile capire quale soggetto stia reagendo alla disposizione altrui nei suoi riguardi e non sia invece egli stesso la causa, della stessa: in genere, un rispecchiamento si produce tra due soggetti estremamente simili sul piano dell’egocentrismo cognitivo (identificazione col proprio punto di vista) e sostanzialmente distanti sul piano del tipo psicologico (pensiero vs emozione, intuizione vs sensorialità, ecc); in genere, in ordine al livello energetico (maturativo) dei due soggetti interessati, quanto più sia estesa la loro consapevolezza, tanto più il loro rispecchiamento reciproco produce una “dissociazione” fra il loro piano comportamentale (reattivo-emotivo-istintuale e “preda” appunto della collusione) ed il loro piano cognitivo (ponderato e capace di riconoscere la collusione), aggiungendo una frattura interna a ciascuno dei soggetti, a quella esterna di coppia già prodottasi nel contrasto fra loro.

Il rispecchiamento è una di quelle dinamiche che si manifesta non solo in ogni contesto storico e spaziale, ma anche energetico: la tradizione e l’iniziazione ne conservano conoscenza sia nell’ambito più scontato dei rapporti infra-umani, che circa i rapporti fra l’umano ed il divino, che circa quelli fra l’umano ed il piano del manifestarsi materiale delle cose. Il mito greco di Narciso pare una tipica informazione psicologica inerente il destino di chi si lasci “divorare” dall’inconscio (acqua) nell’abbandonarsi al tentativo costante di recuperare l’unità di sé (immagine) in termini autoreferenziali (riflesso), ossia egoici: nel contesto cristiano, tale mito trova riscontro nei “passi gemelli” di Mt X,39; Mt XVI,25; Mc VIII,35; Lc IX,24; Lc XVII,33. Circa i rapporti fra l’umano ed il divino, sia in ambito sufico islamico (Ibn Arabi) nel concetto di “immaginazione creatrice”, che in quello cristiano nelle espressioni (Padre Nostro) “come in cielo, così in terra” e “rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, solo per fare due esempi, il rispecchiamento viene insegnato come l’attitudine di Dio a riconoscere unicità ai senzienti tramite un proporsi loro, da un lato, secondo la misura del loro cuore (retribuzione); collateralmente e contemporaneamente, dall’altro, offrendo di volta in volta ai senzienti l’occasione per allargare il loro cuore fuori dal “recinto autoreferenziale”, verso una nozione “più vera di verità”. Circa il rapporto fra l’umano e la materia, è invece la "mitologia degli artefatti", come ad esempio il golem ebraico e tutta la collaterale letteratura mitica-favolistica sugli automi, ad esprimere la questione del rispecchiamento nei termini di un’autoreferenzialità che da euforica si tramuta ben presto in minacciosa.

In tutti e tre i livelli che secondo la scienza sacra contraddistinguono la condizione umana in questo piano temporale, spaziale ed energetico del manifestarsi duale dell’Essere, il rispecchiamento viene presentato come un’arma a doppio taglio, per così dire: se fino a un certo punto, infatti, l’autoreferenzialità che vi soggiace permette all’uomo di individuarsi (far emergere il Sé) rispetto al parere ed al sentire indistinti delle “masse” (l’androgino), da un certo livello di coscienza in poi esso stesso si pone a freno di ulteriori evoluzioni, impedendo il perseguimento del piano comunionale (l’ermafrodito) od Unus Mundus che il paradigma di Calcedonia descrive nei termini cristologici di “unità nella distinzione nell’ordinamento”. La soluzione all’impedimento costituito dalla collusione del rispec-chiamento consiste, secondo la scienza sacra, nella Croce, ovvero nella sottrazione unilaterale dell’eletto (colui che sa contestualizzare la dinamica) alla collusione stessa, tramite l’assunzione (da parte sua) dell’atteggiamento che, in ambito cristiano, è definito “perdono”. Purtroppo la nozione exoterica del perdono individua in esso un atteggiamento di tipo emotivo ed unilaterale nel senso autoreferenziale del termine: io che voglio essere buono ti perdono. Nei termini esoterici, lo stesso perdono appare un approccio unilaterale soltanto nel senso che non aspetta un simmetrico cambio d’atteggiamento nell’altro, per attuarsi, essendo anzi esso stesso concepito come Lo strumento per promuovere appunto nell’altro tale riallineamento grazie al principio di simmetria che regola l’Universo materiale.

Iniziaticamente, la Croce-perdono “abbracciati” unilateralmente (ma non autoreferenzial-mente, in quanto tale "abbraccio" non trova in se stesso, ma nella verità riconosciuta, il suo motivo d'essere) consistono in una pratica adottata conseguentemente ad una presa di coscienza progressiva ed efficace: 1) c’è una collusione in atto; 2) la collusione in atto si auto-alimenta nel fatto stesso che i soggetti coinvolti ne cerchino le ragioni –“chi ha ragione?”-; 3) per interrompere il flusso prodotto dal presente modo di pensare, è necessario cambiare modo di pensare; 4) per interrompere il rispecchiamento reciproco fondato sul reciproco giudizio -non inteso come esercizio della comprensione, ma come trasformazione in colpa delle differenze a seguito di un’aspettativa, che a sua volta è una speranza degenerata in pretesa-, è necessario interrompere il giudizio; 5) interrompere il giudizio non significa ridurre la propria identità a quella altrui, ma ricordare che l’autenticità è più facilmente perseguibile uscendo dall’autoreferenzialità, piuttosto che tentando di capire (anche in buona fede) chi abbia colpa di cosa. Il perdono iniziatico si pone così come il cammino atto a: discernere, da un lato, l’analogia fra la condizione duale ed insieme comunionale di sé con l’altro; plasmare una realtà rinnovata, in seconda istanza, grazie al rinnovamento del proprio assetto percettivo; offrire all’altro un modello sano di relazione che offra solo il rifiuto egocentrico come alternativa a sé.

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