sabato 19 dicembre 2015

Verità, religiosità ed iniziazione

La condizione di chi ha fatto esperienza di qualcuno (o di qualcosa), per quanto parziale essa sia, è sostanzialmente diversa da quella di chi, circa questo qualcuno (o qualcosa), non abbia avuto alcun riscontro. Ragionando due persone su ciò che nessuna di loro abbia sperimentato, entrambe esporranno posizioni in egual misura legittime ed insieme discutibili; qualora una di loro parli invece secondo esperienza, dicendo: “io ho veduto”, la qualità dei rapporti cambia. Chi ha veduto, parlando resta fedele a se stesso; chi non ha veduto, contestando l’altro, si arrocca su di un preconcetto.
Parlando di confessionalità religiosa, chi ha fatto esperienza del sacro e ne parla si trova posto in tutt’altra prospettiva da chi voglia contestarlo. Nel caso si parli dell’esistenza di un dio, chi ne abbia fatta l’esperienza e dica “esiste” si trova posto in tutt’altra dignità, rispetto a colui che dica: “non ho visto quindi non esiste”. A rigor di logica, per un terzo che assista alla discussione senza nulla avere sperimentato in prima persona, entrambe le precedenti posizioni sono insieme legittime e discutibili.

E’ proprio per superare l’equidistanza della pura logica dagl’innumerevoli termini con cui è possibile discriminare la realtà, ch’esiste l’iniziazione: la quale consiste in un percorso guidato d’esperienze del sacro, tali da trasformare le credenze (circa quest’ultimo), in sapienze (più o meno parziali). E’ l’iniziazione, ossia l’esperienza (guidata) diretta del sacro, a costituire la differenza fondamentale tra la vita religiosa exoterica e quella esoterica. A livello exoterico si crede in qualcosa circa cui, sul piano logico-argomentativo, potrebb’essere vero anche il contrario. Il credente, dall'entità della cui credenza egli ritenga dipendere la sua salvazione/dannazione (come nel caso eclatante dei monoteismi abramitici), chiede con ansia che la sua persuasione (ch’egli allora chiama erroneamente “fede”) sia rafforzata (dal dio, dall’istituzione religiosa di riferimento, dall’autosuggestione indotta tramite azioni rituali e devozionali –ciò che in sociologia è detto “contesto di plausibilità”-) perché, in fondo al cuore, egli teme: il credente è un totalitarista perché teme e teme perché in fondo al cuore sa che, riguardo ciò in cui ripone le sue “disperate speranze”, potrebb’essere vero anche il contrario.

L’iniziazione, ossia l’esperienza (guidata) diretta del sacro, trasforma la credenza in fede, giacché la fede è propriamente un atto di fedeltà ad un’esperienza realmente fatta. La credenza può essere il “trampolino” iniziatico al piano esoterico ed anzi essa trova, precisamente in questa possibilità, la sola ragione ed il solo scopo del suo stesso esistere. Mentre le civiltà (le norme, le espressioni sociali e le istituzioni) sorte attorno alle credenze genuinamente tradizionali servono a dare sicurezza ai popoli quale che sia l'ordine di sviluppo personale di coloro che li compongano, i riti e le arti espressive di quelle stesse credenze sono precisamente dei percorsi guidati, di tipo exoterico, tramite i quali poter accedere al piano esoterico dell’esperienza diretta del sacro: c’è chi vi perviene e chi, per immaturità di spirito o pavidità di scelte (circostanze queste che, in realtà, costituiscono due aspetti della stessa fragilità psichica), vi permane. Gl’insensibili ai richiami del “senso della vita” furono chiamati, dagli gnostici, “ilici”; i credenti furono chiamati “psichici”; i fedeli costituiscono il popolo guida degli “pneumatici”.

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