martedì 28 febbraio 2017

Cristianesimo e simbolo. III costituzione (1/3)

Nei primi due articoli di questa serie, inerente i rapporti fra Cristianesimo e simbolo, ho sviluppato il lavoro preliminare di stabilire: A, che la presenza di eventi fantastici in una presunta narrazione storica, piuttosto che la presenza in essa di “luoghi narrativi” comuni a mitologie preesistenti nella sua stessa area ed epoca d’appartenenza, autorizzano un’interpretazione simbolica della stessa; B, che il Cristianesimo così come oggi lo conosciamo nel Cattolicesimo, grazie alla Tradizione ed al Nuovo Testamento (“NT”), presenta in effetti elementi fantastici la cui credibilità non è in alcun modo supportabile da alcun elemento di ragionevolezza e che, piuttosto, risultano facilmente riconducibili a racconti preesistenti ed universalmente considerati di natura mitica. A mio avviso, da un lato pare arduo il ritener accettabile che un evento di grande portata, come la nascita di un nuovo movimento religioso dalla diffusione ben presto planetaria, si sia potuto verificare in assenza di una circostanza storica capace di catalizzare su di sé alcuni archetipi profondi del desiderio umano: in questo senso, mi pare del tutto improbabile che il movimento cristiano non sia in alcun modo riferibile ad un predicatore realmente esistito e dotato di un seguito; d’altro lato, mi pare che le osservazioni già emerse dai primi articoli costringano ad accettare, come la più ragionevole, l’ipotesi che all’uomo storico Gesù si sia poi sovrascritta una serie di simboli preesistenti, tale da rendere il Cristo della fede un personaggio sostanzialmente mitico e sostanzialmente distinto da lui (cfr. Bultmann). Riprendendo da Paolo di Tarso, già citato a proposito dei suoi ipotetici rapporti con Seneca (ricordo però che gli stessi Atti degli Apostoli, in XVIII, 12-17 dichiarano che fu proprio il fratello del filosofo romano, a giudicare “il tredicesimo apostolo” presso il tribunale di Sòstene: circostanza, questa, che aggiunge un elemento di plausibilità al già citato epistolario tra Paolo e Seneca), in questo terzo articolo affronterò il problema della costituzione delle fonti cristiane, ovvero delle ipotesi circa la composizione del NT.
 

Sull’elaborazione del NT si è detto tutto ed il contrario di tutto e l’idea che mi sono fatto a riguardo è che, per dirimere il punto della questione, ci siano alcuni assunti da cui nessuna ipotesi di un non addetto ai lavori possa oggi prescindere: 1) le antiche testimonianze dei vescovi Papia di Gerapoli e Clemente Alessandrino, citati da Eusebio di Cesarea del suo Storia della Chiesa; 2) la precedenza cronologica delle Lettere di Paolo sui Vangeli canonici; 3) La teoria della cosiddetta “fonte Q”; 4) i ritrovamenti di Nag Hammadi e specialmente del Vangelo di Tommaso; 5) le caratteristiche teologiche e linguistiche dei testi; 6) la formulazione di un’ipotesi circa il “problema sinottico”, che tenga in considerazione tutte e cinque le succitate questioni. Così come per gli articoli I e II mi sono limitato all’utilizzo (tramite link al testo) di fonti accreditate che, per quanto “popolari” come Wikipedia, risultino dotate di una decorosa bibliografia scientifica in calce, così per questo articolo III scelgo di utilizzare come altre fonti primarie: 1) le indicazioni del 1998 della École biblique di Gerusalemme (un avanzatissimo centro domenicano di ricerca storico-critica sulle Scritture), così come riportate nelle introduzioni e note alla edizione italiana della Bibbia di Gerusalemme (“BJ”) nella sua versione CEI 2008, per quanto concerne i testi canonici (cioè accettati dal Cattolicesimo); 2) le indicazioni dello specialista italiano Luigi Moraldi, così come riportate nell’edizione Adelphi 1993 de I Vangeli Gnostici, (“VG”) per quanto riguarda la traduzione ed i commenti ai ritrovamenti egizi del ’45 ed in special modo al Vangelo di Tommaso. Trattando di un tema complesso, questo terzo articolo sarà suddiviso in tre parti: nella prima, ovvero la presente, mi dispongo a spiegare in cosa consista la questione sinottica ed in che termini vadano compresi, allo “stato dell’arte”, i cinque succitati “punti” che ritengo inalienabili al fine di chiarirla; nella seconda parte, esporrò la mia tesi riguardo la nascita dei sinottici entro il NT e chiarirò i motivi che adduco per sostenerla; nella terza, affronterò la teologia paolina e trarrò alcune ulteriori (ed ancora parziali) conclusioni su Gesù e le origini del Cristianesimo.


Sono detti sinottici (“visibili insieme”) i tre vangeli canonici di Marco (Mc) Matteo (Mt) e Luca (Lc) mentre è detta Q (abbr. ted. quelle, “fonte”) un’ipotetica fonte originale aramaica oggi (forse) scomparsa, alla quale Matteo e Luca avrebbero attinto, “unendola” a Marco, per elaborare le rispettive redazioni: essi ricevono il loro appellativo dal fatto che custodiscono molte parti in comune tra loro, diversamente dal Vangelo di Giovanni (Gv) che risulta talmente diverso da sembrare emerso da tutt’altro ambiente. Dunque andiamo con ordine, procedendo dall’esporre il problema della precedenza cronologica delle stesure, che per alcuni aspetti è un tema più importante anche delle presunte date di nascita dei quattro testi (i sinottici più Giovanni) che oggi “aprono” il NT. Anzitutto, Mc è l’unico vangelo canonico che riceve la stessa attribuzione da entrambe le due antiche e distinte fonti di Papia (130 d.C. c.ca) e Clemente: secondo il vescovo di Gerapoli, Mc fu scritto per primo e raccoglierebbe, in modo cronologicamente disordinato, ciò che il discepolo di Pietro che dà nome al testo ricordava, dalle predicazioni del suo insegnante; secondo la stessa fonte, Mt avrebbe invece raccolto i detti di Gesù in lingua ebraica. Secondo Clemente, sarebbero stati scritti per primi i due vangeli dotati di genealogia di Gesù (ovvero Mt e Lc), mentre Mc sarebbe stato scritto a Roma, essendo ancora vivente Pietro, affinché non andasse perduta la testimonianza di quest’ultimo. Papia non dice dove Mc fu scritto, ma il testo contiene diversi semitismi, latinismi e  forme di greco popolare che avvalorerebbero la tesi di Clemente, se non fosse che la narrazione, nonché la preoccupazione per lo smarrimento dei ricordi dell’apostolo, lasciano supporre che il testo sia stato scritto dopo la morte di Pietro. Il racconto di Mc appare molto spoglio e non parla mai di eventi precedenti la cosiddetta vita pubblica (il periodo profetico tra battesimo e morte) di Gesù, concentrandosi piuttosto su una serie di aneddoti, miracoli e parabole: gli studiosi sono persuasi del fatto che terminasse con la scoperta della tomba vuota da parte delle donne (le apparizioni di Gesù risorto sarebbero un’aggiunta successiva, a detta dei più) e che la sua data di redazione finale si attesti attorno al 65-70 d.C. (primo in ordine di tempo, tra i sinottici: rispetto a Mt, la cui datazione è discussa tra alcune ipotesi circa il medesimo lasso di tempo ed altre maggioritarie che lo pongono fra il 70 e la fine del sec. I; rispetto a Lc, datato fra l’80 ed il 90 d.C.). Per contro, i racconti di Mt e Lc paiono, rispetto a Mc, più complessi: prevedono ciascuno una propria genealogia (ciascuna discordante con l’altra), narrazioni (discordanti) sull’infanzia di Gesù, diverse redazioni del cosiddetto Discorso della Montagna (una sorta di magna charta dell’insegnamento gesuano) e caratteristiche proprie che li distinguono dagli altri sinottici (Mt sembra preoccuparsi dei legami fra Gesù e la tradizione ebraica, mentre Lc sembra preoccuparsi di sottolineare la distanza, fra Gesù e la medesima tradizione); Mt è ricco di “aramaismi”, mentre Lc pare scritto in un greco decisamente più raffinato, rispetto agli altri sinottici.


Nag Hammadi è un sito egizio presso il quale fortunosamente, nel 1945, vennero ritrovati dei codici (i codici sono i volumi rilegati non a rotolo, come nel modo semitico, ma a libro fatto di singole pagine, secondo il sistema ancora in uso) comprendenti numerosi nuovi vangeli fino ad allora ignoti e spesso di chiara matrice gnostica (una curiosità: in Egitto era, in epoca ellenistica, ancora operante la comunità para-essena dei terapeuti – cfr. con quanto già detto sugli esseni in II, 2/3): tra essi è degno di nota il più volte citato Vangelo di Tommaso, una raccolta di detti di Gesù, di vaga ispirazione gnostico-essena, priva di “cornice narrativa” riportante episodi della sua vita; nel Vangelo di Tommaso, datato attorno agli inizi del sec. II, ma probabilmente derivante da una raccolta più antica, i detti del Signore sono elencati uno dopo l’altro, senza nessun contesto e senza alcun riferimento biografico ed alcuni sostengono che, se anche esso non fosse esattamente la cosiddetta fonte Q, la sua realtà testimonia comunque la presenza di raccolte di detti su quel genere (moltissimi dei detti di Gesù in Mt e Lc appaiono come rielaborazioni da Tommaso, che inoltre riporta circa 1/3 di ulteriori affermazioni inedite). Tornando al canone ufficiale, il testo più antico del NT parrebbe essere la Prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi, datata fra il 51 ed il 54 d.C.: in esso è denunciata la polemica interna al movimento cristiano fra i seguaci di Paolo ed “i giudei”, che vieterebbero di predicar ai pagani affinché anch’essi possano salvarsi (chiaramente non si sta parlando degli ebrei tout court, per i quali tutte le forme di cristianesimo sono già all’epoca considerate in grave errore, ma dei Giudeo-cristiani, facenti capo a Pietro e soprattutto a Giacomo “fratello di Gesù”); si esprime chiaramente l’idea che i cristiani credano in un ritorno imminente del Cristo; si fa un primo accenno alla risurrezione, la cui teologia (Kerygma) viene però definita soltanto a partire dalla Prima lettera di Paolo ai Corinzi. Lasciando a ciascuno la libertà d’appurare su un qualsiasi commentario biblico quanto riprendo a seguire, dunque, la situazione pare essere questa: a) Paolo comincia per primo a scrivere lettere, nelle prime delle quali denuncia una frattura fra sé, che predica ai pagani, ed altri cristiani (che più avanti saranno identificati coi seguaci di Pietro e Giacomo), nonché la resurrezione di Gesù; b) Paolo inizia ad operare circa 8 anni dopo la morte di Gesù, non lo ha conosciuto, non cita mai episodi biografici del maestro, ma parla solo dell’aspetto spirituale: Gesù, essendo risorto, è potuto apparirgli sulla via di Damasco ed insignirlo del ruolo di apostolo; c) Paolo inizia la sua carriera professando l’imminente ritorno del Signore ed invitando alla santificazione personale, trovandosi più tardi davanti all’evidente ritardo della fine del mondo ed all’esigenza di convincere i credenti a riprender a lavorare; d) In concomitanza con l’ammissione del ritardo della fine del mondo, Paolo passa dalla semplice idea della fede salvifica in Cristo, alla più complessa dottrina del peccato originale; e) tra i vangeli, i primi a prodursi sono i sinottici e tra essi, per primo pare emergere Mc riportando i racconti di Pietro, testo dal quale poi Mt e Lc prenderebbero ispirazione, unitamente a una presunta fonte Q di soli detti forse perduta e forse identificabile col Vangelo (apocrifo) di Tommaso, che non parla affatto di risurrezione.

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