giovedì 26 novembre 2015

Retribuzione, Individuazione e Gnosi


Una volta preso atto del fatto che i “cattivi” non vengono fulminati dal Cielo, si è ritenuto che la retribuzione divina dovesse essere deferita all’oltremondano, al post-mortem. Del resto, Gesù stesso insegna che pioggia e sole cadono indistintamente sui giusti e sugl’iniqui. Così il passo iniziale del capitolo XIII di Luca resta oscuro: Lo stesso Poppi, rinomato studioso francescano ed autore della più diffusa sinossi evangelica commentata, non può far altro che riferire con vaghezza il monito del Cristo all’esigenza della conversione in vista del giudizio finale (Parusia), nonché ipotizzare un qualche “ammiccamento” dell’autore alla caduta del tempio.

Gesù era un maestro ebraico di formazione essena, un uomo avvezzo all’interpretazione esoterica delle Sacre Scritture: gli stessi autori canonici denunciano com’egli parlasse privatamente ai suoi discepoli (disciplina dell’arcano) in modo differente che davanti alle folle. Ora, nella spiritualità esoterica ebraica (kabala), il rigore di Dio nel giudicare è uno strumento utile non a vendicare le violazioni alla Legge, quanto piuttosto a salvare l’individualità di ogni uomo. Dio si manifesta all’uomo così come l’uomo lo cerca: questo è il suo modo di retribuire ciascuno perché questo è il modo con cui Dio, salvaguardando la libertà, può tutelare la diversità d’ogni ente da Lui.

Nel primo esempio, coloro che offrivano sacrifici sono persone che coltivavano un’idea del divino retributiva in senso legalista: il loro sangue, mischiato a quello delle offerte per mano d’un pagano, esprime l’idea d’un Dio che esige il sacrificio da chi crede che il sacrificio sia utile a quietarlo. Gesù avverte: se non cambierete mentalità perirete tutti allo stesso modo, richiamando su di voi una realtà che vi sarà ostile proporzionalmente alle vostre paure. E’ un invito alla conversione nel senso in cui altrove Cristo invita Pietro a camminare sulle acque e quest’ultimo affonda a causa della paura (Mt XIV, 29-31).

Le diciotto vittime sepolte dalla torre esprimono il medesimo concetto in un’accezione distinta. La diciottesima lettera dell’alfabeto ebraico è Nun, che sta per “trasformazione” (è interessante notare come la carta dei tarocchi riportanti la torre che frana, di valore XVI, si affianchi alla sedicesima lettera ch’è invece Ayn, “corrispondere”: la torre che frana sui diciotto, in termini cabalistici, indica una trasformazione imposta da un Cielo che corrisponde al porsi dell’uomo). Il diciotto è “due volte nove”, dove il due sta tradizionalmente ad indicare un discernimento (bene/male) ed il nove, come somma del 4 (numero pitagorico della Madre) e del cinque (il Figlio), è sia antico numero associato alla Grande Madre Natura, che, nuovamente, indizio d’una evoluzione da un principio materiale ad un altro di tipo spirituale (il Figlio sta tradizionalmente ad indicare il rinnovamento, il Bambino d’Oro, l’alba dell’Eroe Solare). Nell’albero sefirotico, la seconda sfera è Chokmah (Sapienza), mentre la nona è Yesod (Fondamento): i conti, come si vede, tornano sempre, nella Scienza Sacra.

Cosa sta aggiungendo allora, in questo caso, Gesù? Sta precisando gli effetti di quanto già esposto circa il caso dei galilei sacrificati: se prima ha posto l’attenzione dei discepoli sulla corrispondenza tra concezione religiosa e destino autoprodotto, ora sta sottolineando la modalità con cui nella pratica attuare la conversione da Lui proposta: spiritualizzare la concezione religiosa così da scindere il discrimine di giusto/ingiusto dalla legge, per riferirlo alla disposizione dello sguardo (Lc XI, 34 “La lampada del tuo corpo è l'occhio; se l'occhio tuo è sano, anche tutto il tuo corpo è illuminato; ma se è viziato, anche il tuo corpo è nelle tenebre"). E’ una lezione gnostica.

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