martedì 11 dicembre 2018

Paideia - 02, Quale “paganesimo”?

La spiritualità “pagana”, la cui evoluzione nell’epoca ellenista pure divenne un presupposto fondamentale della veniente cultura neo-abramitica (Cristianesimo, Giudaismo, Islam), si distingueva da quest’ultima per la diversa considerazione del rapporto fra esperienze ed idee: mentre ogni cultura “pagana” lasciava che ogni nuova esperienza trasformasse il suo pantheon, le culture neo-abramitiche operano esattamente al contrario e cioè riducendo l’esperienza entro i ristretti preconcetti imposti dalle presunte rivelazioni divine. Studiando le divinità politeiste, facilmente ci s’imbatte in mitologie contrastanti, riguardanti la medesima divinità; facilmente ci s’imbatte nell’accorpamento di una divinità straniera all’interno di un pantheon; facilmente ci s’imbatte nell’accorpamento di più divinità –e relativi attributi, in un’unica divinità o viceversa; facilmente ci s’imbatte nell’evoluzione di una divinità a seguito di contaminazioni, sconvolgimenti politico-economici o variazioni dello stile di vita del popolo che ad essa rendeva culto.


Non esiste un solo pantheon antico le cui ultime e più “recenti” tracce siano concordi con le prime e più antiche. Secoli e secoli di tradizione di un popolo, ovunque portarono questo ad evolvere, in base al proprio stile di vita e per l’appunto, alle proprie esperienze, non solo la propria concezione delle divinità, ma spesso, il modo stesso di concepire il rapporto fra sé ed il mondo: alla luce di queste assunzioni, proverò ora a dire “la mia” circa l’attuale diatriba fra le definizioni “pagano” e “neo-pagano”, riferite alle pratiche spirituali occidentali odierne e d’origine non abramitica. Generalmente, oggi si auto-definiscono “pagani” i cosiddetti “ricostruzionisti”, ovvero quei gruppi i quali, attingendo quanto più possibile da fonti storico-archeologiche, intendono ripristinare i culti antichi in modo filologicamente esatto; generalmente, si auto-definiscono “neo-pagani” coloro i quali, preso atto dell’impossibilità di riprodurre con esattezza ed oggi i culti antichi, sia a causa delle lacune d’informazioni, che dell’inevitabile trasformazione subìta dal contesto spazio-temporale (anche e soprattutto a causa della “parentesi” cristiana, perlomeno in Europa), si adoperano in diversa maniera a riprendere alcuni elementi tradizionali, ricombinandoli però in modo sincretico ed eclettico, al fine di coniugare il “ritorno a casa” nella tradizione e la vita contemporanea.


A mio avviso, alla luce di quanto detto circa i rapporti fra esperienze ed idee nella mentalità pagana, entrambi gli “schieramenti” commettono errori facilmente riscontrabili. I “ricostruzionisti”, a mio avviso, troppo spesso idealizzano la "forma", a dispetto della "sostanza empirica" (ovvero la priorità "pagana" all'esperienza) di cui già si è detto: anche volendo riprodurre pedissequamente un culto antico di cui si avesse precisa descrizione, dovrebbero anzitutto domandarsi “quale epoca?” ricostruire. Il pericolo principale, secondo me, è quello di confondere la spiritualità di un culto, con l'aspetto principalmente folkloristico della "rievocazione storica" di una specifica e circoscritta Era dello stesso: infatti e ad onor del vero, anche ipotizzando di possedere tutte le nozioni necessarie, un conto sarebbe “fare rivivere” il pantheon greco dell’epoca omerica; altra cosa sarebbe riproporre il culto greco dell’epoca di Solone; altra faccenda ancora sarebbe il tornar a celebrare la ritualità pubblica greca dell’epoca ellenistica. I “ricostruzionisti” insomma, a mio avviso, non solo peccano d’ingenuità se ritengono che un culto “pagano” fosse qualcosa di statico; peccano anche di dogmatismo, nella misura in cui concepiscono un pantheon con la stessa idea d’immutabilità ch’è tipica invece dei culti neo-abramitici sedicenti rivelati.


Meglio dei “ricostruzionisti”, gli eclettici comprendono il carattere illusorio della pretesa di riportare in vita, oggi, culti legati a spazi e tempi molto distanti dal vivere contemporaneo: ciò non di meno, definendosi “neo-pagani”, a mio avviso anche loro cadono nello stesso fraintendimento dei primi e ponendo una distinzione fra il loro “neo-paganesimo” e quello pre-cristiano, anch’essi dimostrano di non avere affatto capito il carattere esperienziale e dinamico degli antichi culti. Se gli eclettici si definiscono “neo..”, evidentemente è perché anch’essi, come i “ricostruzionisti”, coltivano un’idea sostanzialmente “cristiana” (intrinsecamente dogmatica, in quanto “cristallizzata” in un preconcetto) del “paganesimo” antico, che per loro è morto e basta, essendo inteso come forma fissa estinta dalla “frattura cristiana”. Su questo “fronte”, per concludere questo intervento direi che il “paganesimo”, in quanto culto dinamico, possa essere praticato oggi senza alcun bisogno di considerarsi “nuovo”: quello che veramente lo snaturerebbe, a mio avviso irrecuperabilmente, non è l’interruzione storica subìta, ma un’eventuale mentalità subdolamente - e fatalmente - ancora troppo neo-abramitica (e cioè dogmatica, inconsciamente sprezzante del divenire delle esperienze), dei sedicenti “pagani/neo-pagani” contemporanei.

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