giovedì 7 novembre 2013

I piedi per terra



Andate a imparare che cosa vuol dire:
«  Misericordia io voglio e non sacrificio »”

(MATTEO IX, 13)

Il dolore non può essere superato, non può essere emendato: non può essere evitato, soprattutto. Sono qualcuno, separato dal resto delle cose da una vita, una corporeità, una coscienza che mi sono proprie: eppure né la mia vita, né il mio corpo, né la mia coscienza possono prescindere da ciò che il mondo e gli altri hanno fatto di me (e fanno) di me, con e soprattutto senza il mio consenso. Sono “io” e sono gli altri che mi fanno, entrambe le cose: di certo soffro quando ho bisogno del riconoscimento degli altri, eppure quel bisogno è costitutivo di ciò che sono. Gli altri, del resto, hanno il mio stesso bisogno, ma nessun vincolo ad appagare il mio: se lo fanno, è pura grazia.
Ciò nonostante, non ha alcun senso provare odio o disprezzo per il mondo e per gli altri, perché tutti sono ciò che sono; neppure ha senso provare euforia davanti al mondo che risponde al bisogno, perché per ogni bisogno corrisposto ne esistono mille ancora inappagati. Per il mondo e per gli altri e finanche per Dio stesso che tutto (dicono) permette, non posso, ragionevolmente, che provare misericordia: una misericordia grata per ogni cosa bella che c’è, ma sempre sporca per tutto il dolore; una misericordia affettuosa, ma che non perde la sua tristezza neppure davanti alla grazia che, con potenza, pure costantemente “irrompe”.

BIBLIOGRAFIA di riferimento:

KRISHNAMURTI J., Liberarsi dai condizionamenti, Mondadori, Trento 2013.

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