mercoledì 29 maggio 2019

Paideia – 04, Un umanesimo “pagàno”?

Un percorso spirituale è, in estrema sintesi, un protocollo teorico-pratico teso ad auto-attribuirsi un senso, tramite lo sviluppo di una ricomprensione del mondo e della propria presenza in esso. Spesso, nel contesto esoterico contemporaneo si tende a supporre che le visioni spirituali si dividano in tre grossi gruppi alternativi: 1) quello attribuito alle cosiddette “religioni neo-pagane”, per cui l’Uomo dovrebbe perseguire l’equilibrio di se stesso con l’ambiente; 2) quello attribuito alle cosiddette “correnti gnostiche” (religiose e/od iniziatiche), per cui l’Uomo dovrebbe affrancarsi dalla materia; 3) quello attribuito alle cosiddette “correnti orientali” (religiose e/od iniziatiche), per cui l’Uomo dovrebbe affrancarsi niente meno che da se stesso. C’è in realtà, nella millenaria tradizione mediterranea, una “quarta via” che racconterò (spero) semplicemente, usando quel linguaggio alchemico che costituì la sua ultima formulazione, prima di quella junghiana del secolo XX.


Partiamo col dire che il percorso può essere descritto attraverso tre opere e cioè tre “gradini” ideali dello stesso, oltre a due strumenti per attuare l’avanzamento da un gradino all’altro. I due strumenti della pratica sono il diavolo ed il simbolo; le tre opere, in termini alchemici, sono definite Nigredo, Albedo e Rubedo; le due attività connesse ai due strumenti di lavoro sono definite Solve e Coagula. Siccome l’alchimia usa il linguaggio siderurgico-chimico, l’opera preliminare del percorso è anche detta “ricerca della materia prima”, dove la materia prima, in un contesto spirituale, è ovviamente l'apprendista stesso. Nell’Opera al nero si scende anzitutto al centro della terra e si distrugge il minerale per ottenere il metallo che andrà lavorato: si tratta del famoso “conosci te stesso” del Tempio di Delfi.


Quando il diavolo ci piomba addosso con le sue tentazioni, mette in luce il nostro desiderio ponendoci davanti ad una scelta: assecondarlo, lasciando ch'esso distrugga la nostra bella immagine preconcetta di noi stessi, oppure aggrapparci a quest’ultima e diventare nevrotici, “perdere la nostra anima”, direbbe il Vangelo. La dissolvenza delle nostre infantili illusioni, prodotta dai crudi desideri scaturiti dal lavoro del diavolo, fa emergere in noi la materia prima, separando da noi stessi -rendendoli riconoscibili- tutti quei condizionamenti, preconcetti, bisogni indotti e timori cronicizzati che non corrispondono alla nostra più arcana indole. Il diavolo, autentico portatore di luce, spezza la nostra irreprensibilità e ci restituisce uno sguardo disincantato su noi stessi, sbattendoci in faccia la nostra anima. Davanti al diavolo, qualcosa muore sempre: a morire sono le nostre illusioni, oppure la nostra autenticità.


Ciò che il diavolo porta alla luce è molto spesso imbarazzante, sul piano sociale: allontanando da noi le "scorie di pietra" in cui il "nostro metallo" era imprigionato sul fondo della miniera, prendiamo coscienza della “pasta di cui siamo fatti”, parte della quale era nascosta perché inconfessabile, impresentabile, inaccettabile per noi che siamo costantemente posti in paragone col contesto morale cui apparteniamo. Nell’Opera al bianco sorge l’alba per un adepto riconciliato con se stesso e che ha scelto se stesso come punto di riferimento per il significato della propria vita. Tutti i frammenti autentici riemersi grazie all’irrompere del desiderio, “belli” e “brutti”, noti e sorprendenti, vengono ora a coagularsi in matrimonio mistico fra loro, dove luce ed ombra non si confondono, ma generano una nuova vita, un simbolo di .


Una volta dissolte le illusioni dell'Io ed una volta sintetizzata una nuova e più ampia considerazione di Sé, l’Opera al rosso richiede nuovamente l’intervento del diavolo e quella del simbolo, questa volta nello stesso momento e per produrre congiuntamente una nuova condizione esistenziale: il tramonto della centralità di sé per la comunione con tutto il resto, con l’Unus Mundus. Memore della propria nigredo, il ricercatore scopre che la sua prima immagine egoica stava al suo vero Sé come ora il suo vero Sé sta alla realtà. Nella reciprocità fra interno ed esterno, fra microcosmo e macrocosmo, il diavolo offre una nuova luce: quella dell’uscita dall’auto-referenzialità. Morto nel nero l’io e rinato nel bianco il sé, ecco che nel rosso, contemporaneamente, l'iniziato a se stesso muore alla propria illusione d’autosufficienza e rinasce nell’abbraccio del Cosmos, che ora è tutti e ciascuno. 

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