domenica 2 febbraio 2014

Peccato e peccatori



Parafrasando una bella intuizione di Hegel, potremmo definire l’Uomo come l’ente in cui il Cosmo esprime la sua possibilità di auto-comprendersi ed orientarsi. Ma nel momento in cui l’Uomo sceglie con la sua idea il bene ed il male; nel momento in cui l’Uomo smette di fruirsi (Agostino) per conoscere il Cosmo nella compromissione esistenziale con Esso e invece si arroga la facoltà di separare (gr. dia-ballèin) “ciò che è bene” da “ciò che è male”, allora il Cosmo stesso si separa dal suo Logos, ossia dalla possibilità di comprendersi e di reperire per se stesso (e per l’Uomo) un senso. Il Cosmo “Si incontra” e “si auto-comprende” nell’ente “Uomo”; quando, nella scelta umana dualista fra bene e male, il Cosmo smette di incontrarsi per ciò che è e finisce in disaccordo con se stesso, allora e l’Uomo (che sceglie) ed il Cosmo (che nell’Uomo “ricapitola”) con lui, perdono il contatto col senso del loro esserci, ossia con il Logos e si pèrdono. E’ questo il peccato originale: è qui che avviene la “frattura”.
L’Uomo è donato a se stesso: lo è nella sua stessa nascita fisica, nell’atto di nutrirsi della vita altrui, nel bisogno di qualcuno che lo riconosca (traendolo dal nulla al senso) e nel condizionamento ed evoluzione che costantemente subìsce a seguito del mutarsi delle circostanze e del susseguirsi degli incontri. L’Uomo è un corpo in cui si delinea ed in cui trova inequivocabilmente un’identità che preesiste ogni condizionamento successivo: ma la sua corporeità gli è donata ed il suo essere corporeo, in costante divenire, gli verrà un giorno pure sottratto.
Tutto questo fa sì che l’uomo sia nello stesso tempo un IO dotato di continuità ed identità, ma anche un fenomeno passeggero, in divenire ed “in prestito”. Tutto questo fa sì che l’Uomo sia costantemente e contemporaneamente, se stesso ed un “estraneo”, donato a se stesso da altri/o.
Davanti a queste realtà, il serio “dualismo” che può spingere l’Uomo a separare le cose in bene e male non è quello tra anima/bene e corpo/male, perché questa selezione è già l’effetto della scelta precedente di porre se stesso a “metro” della realtà (Protagora). Il “vero” dualismo che abita l'inconscio umano è quello tra la sua identità ed il suo essere “dono d’altri”, estraneo a se stesso e in divenire verso la “restituzione” della morte (Heidegger). L’Uomo può reagire a questa condizione, consciamente o meno, in diversi modi: potrà accogliersi come “unità dialettica” (secondo il paradigma che a Calcedonia volle descrivere la natura trinitaria: unità nella distinzione nell’ordinamento: quest’ultimo punto dovuto al fatto che l’Uomo occidentale, che si auto-comprende in termini concettuali e rappresentativi, piuttosto che espressivi,  procede praticamente  dai dati di coscienza) che esprima un “Sé” relazionale (Jung, processo d’individuazione); oppure, potrà identificarsi unilateralmente nella “volontà di potenza dell’IO” che lo porterà a dividere il mondo tra bene e male, secondo i gusti dell’IO, nel tentativo disperato di “darsi una casa” in questo mondo. L’esito di questa seconda opzione sarà appunto la “frattura” tra se stesso ed il Logos, ossia il mondo attorno a lui (ed in lui) còlto nel suo dato originario di manifestazione: si passa allora dal Cosmo all’idea di caduta/corruzione, sempre e solo rispetto ai suoi gusti. Potrà anche scegliere, l’Uomo, di “identificarsi col non-essere” della propria transitorietà, finendo così o per definirsi come “fascio di sensazioni” (Hume), con la necessaria “deriva” pulsionale; o per deprimersi “divorato” dal nulla. In entrambi i casi, sarà di nuovo l’Ego a compiere l’arbitrio di una riduzione del reale al proprio gusto, sebbene conseguendo esiti apparentemente così diversi come l’edonismo e la depressione: “rovesci” up e down (intellettuale ed emotivo) l’uno per l’altra, di una stessa “medaglia” egoistica, riduzionista e prevaricatrice del reale.
A questo punto, un incontro significativo potrà forse portare l’Uomo ad aprirsi a nuove e più complete prospettive tramite le quali vivere una conversione verso la totalità del reale: fermo restando che, contro la libertà sperimentabile dall’Uomo, non esiste cura.

Ps: In quest’ottica, appare interessantissimo un confronto tra i presupposti (e quindi gli effetti) della Psicologia Analitica di Jung e quelli dell’Analisi Transazionale di Berne. Jung procede dal recupero della valenza simbolica del reale (“manifestazione di qualcosa di sostanzialmente inconosciuto”) e promuove il recupero di un dialogo e pacificazione, nel Sé, di tutto ciò che l’Uomo sperimenta di se stesso “aldilà del bene e del male” (Nietzsche): in quest’ottica, la salvaguardia degli atteggiamenti socialmente accettati è l’esito di una ricomprensione di se stessi in un contesto più ampio che appartiene alla condizione  “dono” dell’Uomo. Berne, dal canto suo, procede dal postulato che ogni condizione in cui si manifesta l’uomo è “OK”, per cui ogni eventuale “progresso” ricercato in analisi sarà volto a conseguire una maggiore efficienza in relazione ai traguardi prefissati. In questi termini, anche alla normatività sociale è affidato il posto che le compete in un quadro egocentrico di auto-realizzazione: qui non si tratta di un “sé” che fa la pace con la sua dimensione trascendente e potenzialmente eversiva rispetto all’ordine avvertito e ricevuto, ma piuttosto di un’eventuale assunzione dell’ordine costituito come “parte integrante” del proprio disegno di potere sulla realtà.

BIBLIOGRAFIA essenziale di riferimento:

GALIMBERTI U., La terra senza il male, Feltrinelli, Milano 2009;
HUME D., Trattato sulla natura umana, in Opere filosofiche, Roma-Bari, Laterza, 1987, vol. I;
STEWART  J. - JOINES  V., L’Analisi Transazionale: guida alla psicologia dei rapporti umani, Garzanti, Milano 1990.

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