Nelle prime (1; 2a e 2b) parti di questo articolo sul senso simbolico degli
elementi fondamentali della fede cristiana (Peccato Originale e Sacrificio
Redentore del Cristo), ho mostrato come non sia in alcun modo ragionevole
intendere letteralmente la caduta dei progenitori: essendo Gn III copiato da
racconti precedenti, non si può pretendere che il primo (la copia) sia storico,
mentre i secondi (gli originali), siano semplici miti; o è mitico anche
l’episodio biblico oppure si è costretti a ritenere per autentiche le
narrazioni precedenti e non quelle ebraiche; se si accoglie la storicità degli
antichi racconti zoroastriani, si finisce col convertirsi al Mazdeismo, mentre se si ammette la
valenza soltanto mitica di entrambe le versioni, bisogna ammettere che nella Storia vera, il Peccato Originale
e la cacciata dal paradiso, sono vicende
mai accadute. Tralasciando l’ipotesi di un’eventuale conversione allo
Zoroastrismo (o Mazdeismo), la trattazione della quale porterebbe questa serie
fuori tema, la logica imporrebbe ad ogni cristiano, a questo punto, di
ammettere un paio di cose dai risvolti catastrofici per la sua fede: se il
Peccato Originale è un fatto mitico come l’episodio che lo propone, allora
sparisce il motivo della presunta redenzione nella Storia operata dal Cristo (se Cristo è morto e risorto per
redimerci dal Peccato Originale, che però non è mai avvenuto, sparisce il movente della missione di Gesù e con esso
è demolito il Kerygma). Se
l’episodio di Gn III fosse storico, avremmo ch’esso racconterebbe di un dio (Ahura
Mazdā, comunque: mica YHWH!) padrone assetato di servi e quindi contraddittorio
con l’idea d'una Sua missione per l’emancipazione umana; se lo stesso episodio viene accolto come mitico,
allora vanno accolti come mitici anche tutti i personaggi in esso presentati,
Dio compreso. La questione diventa drammatica, per chi intendesse ancora
difendere la “lettera” e la storicità degli “eventi” dottrinali: se l’episodio
è storico, il cristiano deve smettere
d’essere cristiano e diventare zoroastriano, nonché smettere di credere in un
dio buono e cominciar a considerarsi uno schiavo; se l’episodio è
mitico e nella Storia non è mai
accaduto, allora la presunta redenzione del Cristo si ritrova senza movente (essendo sparito il Peccato
Originale) e senza mandante (essendo Dio
una figura metaforica). Ammesso che Cristo sia davvero risorto nella Storia, il cristiano non sa più né
perché, né per chi, né per volontà di chi lo abbia fatto.
Si potrebbe addurre a favore della storicità dell’evento, avendo
comunque oramai abbandonato la teoria cristiana a riguardo, che Gesù faccia
parte di una serie di rarissimi personaggi (Osiride, Dioniso, ecc.) che, nella
Storia, sono stati capaci di “rompere il velo” tra il piano temporale ed il
piano dell’eterno, mostrando così come la realtà non si esaurisca nella sfera
del “visibile”: in questo senso, si potrebbe dire che la morte e risurrezione storiche di Gesù potrebbero fare a meno
del movente e del mandante indicati dalla dottrina religiosa paolina ed anche
il valore salvifico della sua missione potrebbe essere riletto non più nella
forma di un riscatto compiuto, ma in quello di un aspetto del reale mostrato. L’umanità, resa consapevole
della non finitudine della sua vita, potrebbe trovare di fatto salvifica un’informazione che risultasse motivo di
speranza, d’abbandono della paura e di libertà nel perseguire se stessa fuori
da ogni vincolo di minaccia eterna: questo a prescindere dal fatto che la
presunta risurrezione avrebbe prodotto
soltanto un nuovo stato di coscienza e non
una nuova creazione, così come invece pretende la dottrina cattolica. Ammetto
che, in assenza di una riflessione metafisica
più approfondita che possa confutare la suddetta ipotesi, le idee che giorno
dopo giorno oramai si susseguono nel campo della Fisica, come la teoria dell’Universo non locale di Bohm, sorta a
seguito delle evidenze sperimentali nell’ambito quantistico, permettono secondo
me a tutt’oggi di continuare a sostenerla senza essere pazzi. Come già dissi,
ritengo che una storicità della risurrezione permetterebbe di spiegare molto
più facilmente come Paolo di Tarso possa essere riuscito a spacciarne l’idea,
in un’epoca in cui testimoni oculari del rabbino Gesù erano ancora vivi: se
personalmente opto per un’interpretazione esclusivamente
simbolica della risurrezione, è a causa del fatto che la Storia delle
Religioni, nonché la storia dell’evoluzione del pensiero escatologico ebraico,
mi portano a considerare molto, ma molto
più probabile, la tesi per cui anch’essa appartenga a quel milieu di nozioni religiose antiche che circolava diffusamente e da
decenni nel clima ellenizzato in cui il Cristianesimo si trovò ad emergere.
L’idea buddista di bodhisattva
e l’idea induista di avatar, giunte
in Palestina grazie all’opera di Alessandro Magno; l’idea pitagorica della metempsicosi, documentata presso certi
gruppi proto-cristiani; l’attesa messianica del Mazdeismo, fatta propria dalla
corrente iniziatica ebraica degli esseni; i culti solari e stagionali egizi e
mesopotamici; i culti misterici della Grecia e della Tracia (come il mito della
discesa agl’inferi di Orfeo); la letteratura apocrifa ebraica come il Libro di
Enoch; la letteratura proto-gnostica e deuterocanonica precedente all’era
cristiana; il bisogno personale che Paolo aveva della risurrezione, per
giustificare la legittimità del proprio operato; la lettura assolutamente
irragionevole (in quanto né il movente, né il mandante dichiarati possono darsi
per plausibili) che tutti i documenti cristiani canonici che ne parlano, ne
hanno sempre dato: tutti questi elementi, assieme alla quantità enorme di
elementi tratti da miti precedenti di cui il racconto del NT sulla risurrezione
di Gesù è stato indubbiamente farcito, mi costringono a ritenere che la
risurrezione sia in tutto un mito, preposto a trasformare l’uomo storico Gesù
di Nazareth nel Cristo paolino, personaggio del tutto funzionale a conquistare
il panorama religioso dell’epoca, grazie ad un’ardita opera di sincretismo. Dai
presupposti di cui sopra, procedo con una disamina del senso simbolico
dell’evento redentore cristiano, così come raccontato dai testi canonici del NT e
per farlo dovrò ricondurmi ai concetti del ciclo solare ariano, da me
trattati in una precedente serie (artt. 1, 2, 3, 4) dedicata alla simbologia
dell’altare cattolico: non potendomi qui soffermare nuovamente a descrivere, in
poche righe, ciò che già richiese pagine e pagine d’illustrazione, mi limiterò a ricordare che la cultura indo-europea accomuna molte civiltà anche
distanti fra loro, grazie ad immagini archetipiche condivise.
Nel ciclo ariano, il mondo è diviso in quattro quadranti, corrispondenti
ai quattro punti cardinali; il cielo è diviso in quattro quadranti, di cui tre
occupati dalle posizioni luminose del sole (alba, mezzogiorno, tramonto) ed uno
dalla Montagna Sacra (il nord, cioè la mezzanotte), la quale corrisponde alla
Terra dei Padri. Il cielo è associato alla luce, alla capacità penetrativa
della luce e della pioggia, quindi alla mascolinità ed al numero 3; la terra è
associata al buio, alla capacità ricettiva verso i semi, la luce e la pioggia,
quindi alla femminilità ed al numero 4. Il sole è l’eroe che nasce ad est,
trionfa a mezzogiorno, muore ad ovest e “passa il testimone” nel seno dei
padri, a nord. La luna riflette il sole, ed assieme alle maree ch’essa domina
ed alla terra che riceve dal cielo, è espressione della femminilità (nelle
culture germaniche, il genere dei due astri s’inverte) e spesso viene anch’essa
tripartita, come gli Déi luminosi del giorno, secondo gli aspetti di luna crescente (la vergine), piena (la madre) e calante (la megera). Già nel mito di Osiride (l'abbondanza) si riscontra come
Seth (l'inverno), fratello del Dio, uccida quest’ultimo per invidia e quindi lo smembri,
gettandone le parti nel Nilo, fiume che dona la vita all’intero Egitto: nei
vangeli sinottici, Gesù, dopo essersi volontariamente
(differenza dovuta al fatto che il tema conduttore d’ogni monoteismo è l’obbedienza
a Colui che si rivela) “smembrato” nell’ultima cena in forma di pane e vino, perché
il suo corpo ed il suo sangue donassero la vita all’intera umanità, viene
ucciso per invidia dall’élite ebraica del suo tempo. Come nella iconografia
egizia il corpo di Osiride è raccolto dalla sorella e sposa Iside, così in
quella cristiana delle “pietà”, il corpo del Cristo è raccolto dalla madre, accompagnata
da Maddalena e Cleofa (le tre “marie”);
come Nefti ed Iside fanno tornare in vita Osiride con le loro arti magiche, così
le donne evangeliche (guidate dalla Maddalena) “scoprono” la risurrezione di
Cristo mentre andavano ad ungerne il corpo (in accordo con l’uso egizio d’imbalsamazione);
come Osiride, pure tornato in vita, smette di abitare la terra ma diviene
signore eterno del regno dei morti, così Cristo, asceso al cielo, si appresta
come Signore a giudicare i vivi e i morti
e il suo regno non avrà mai fine. Le donne, triplici come la luna,
rappresentano la terra, ch’è l’elemento da cui l’eroe solare nasce (la vergine
Maria), presso cui l’eroe trionfa (la “sposa mistica” Maria, a cui si
contrappone l’alter-ego materiale Marta), verso cui l’eroe solare giunge (la
raccolta del corpo da parte dell’anziana madre) e da cui l’eroe solare di nuovo
risorge: a Pentecoste, Maria passa il testimone della fecondità alla Chiesa,
nuova “vergine” (in quanto composta di soli uomini) che pure, riempita
di Spirito Santo, genera alla fede.
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