Entrando nel vivo, ovvero nel
tema dell’interpretazione simbolica della dottrina del NT anzitutto e quindi
del Cattolicesimo (che, piaccia o non piaccia ai riformati, ne è effettivamente
una diretta emanazione), in questo
articolo affronterò ciò che in precedenza ho fatto emergere come il “cuore”
stesso del Cristianesimo paolino: la redenzione dal Peccato Originale, grazie
all’unico evento salvifico che sarebbe stato la passione-morte-resurrezione-ascensione
di Gesù di Nazareth. Il tema del Kerygma
si divide in due aspetti fondamentali, a ciascuno dei quali dedicherò una
delle due parti successive a questa, ch’è di carattere introduttivo, in cui
questo articolo sarà diviso: nella prima approfondirò la lettura simbolica,
anche appoggiandomi alle omelie esegetiche tenute dal biblista cattolico (contemporaneo)
riminese (don) Carlo Rusconi, della caduta dei progenitori, cioè della causa che la dottrina del NT adduce a
motivo dell’intervento divino tramite il suo supposto Figlio, il Cristo; nella
seconda parte, sposterò invece l’attenzione sull’evento salvifico, circa il
quale permane ancora la “sospensione di giudizio” fra le tre ipotesi a riguardo
da me avanzate nel primo sommario di questa serie. Confrontiamo:
“La prima creatura umana, Gayo Maratan (o Gayōmart, «il vivente», «il
mortale») venne tentato da Angrā Mainyu; dopo la sua morte, dal suo seme nacque
la prima coppia dei due sessi, Mashya e Mashyai, dai quali tutti gli uomini
discendono. Il più importante personaggio della più antica storia dell’umanità é Yima; egli era un pastore che viveva in una sorta di paradiso terrestre,
conducendo un’esistenza beata e godendo della piena fiducia di Ahura Mazdā. A
un certo punto Yima cadde nel peccato della menzogna e per questo venne
allontanato dalla terra felice in cui aveva vissuto, e fu costretto a
riconquistare con i meriti lo stato di beatitudine perduto” (G.J. BELLINGER, «Zoroastrismo», in: Religioni, Garzanti, Milano 2003, pp. 743, 744).
« Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e
femmina li creò […] All'uomo [Dio] disse: "Poiché hai ascoltato la voce di
tua moglie e hai mangiato dell'albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi
mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo
per tutti i giorni della tua vita. […]
Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da
dove era stato tratto » (GENESI I, 27.
III, 17.23).
Come accennai già in II, 1/3 il
Peccato Originale nasce nella religione zoroastriana, ben più antica di quella
biblica. Se non bastasse il carattere favolistico (col serpente che parla, gli alberi
speciali ecc.) della vicenda, a dimostrare che il brano vada inteso in senso
mitico anziché storico, aggiungerei che, qualora si volesse insistere che l’evento
sia davvero accaduto in un’epoca imprecisata, ma storica, non sarebbe possibile
considerare inventata la sua
formulazione iranica più antica e contemporaneamente considerare autentica la sua formulazione biblica più recente: se è falso l’originale
antico, va da sé che sia falsa anche la copia più recente. Se fosse autentica
la copia, lo sarebbe nella misura in cui restasse fedele all’originale e perciò
i cristiani dovrebbero necessariamente
assumere come loro narrazione (della caduta) di riferimento quella zoroastriana
e non quella biblica… a meno che non avessero
la gran faccia tosta di dire che gli unici dettagli storici della vicenda siano
quelli biblici che differiscono dal
racconto zoroastriano (il serpente e gli alberi): anche in quel caso, però, mi
sarebbe facile notare che a determinare la dottrina paolina della redenzione
sia la disobbedienza in sé (ovvero ciò che accomuna
i due racconti) e non i dettagli (differenziati) circa i modi.
Se, per ovviare ai suddetti e gravissimi
problemi di coerenza insorgenti (per la dottrina cristiana paolina) dal
considerare storico l’evento della caduta, i cattolici giungessero ad ammette
che l’episodio non sia mai accaduto
nel mondo reale, si troverebbero davanti ad un nuovo bivio: il racconto
significa comunque qualcosa, in un qualche modo o non significa proprio niente,
essendo mero esercizio di creatività narrativa? Se optassero per la seconda
ipotesi, i paolini sarebbero costretti ad ammettere che la Bibbia, presunto
libro ispirato da Dio, contenga anche brani privi
di qualunque utilità o significato: a quel punto, continuare a sostenere
che da esso siano estraibili verità rivelate, sarebbe a mio avviso pressoché
impossibile (nel senso: se alcuni passi della Bibbia non significano niente,
come distinguerli da quelli di valore religioso ed ispirati da Dio? In base
alla loro credibilità? Dunque come andrebbe distinto ciò ch’è credibile da ciò
che non lo è? Grazie all’esperienza della Chiesa riguardo Dio? Dunque, se
l’esperienza della Chiesa su Dio fosse il criterio per la conoscenza di Dio, a
cosa diavolo servirebbero delle Sacre Scritture? E via dicendo). Se i cristiani
optassero finalmente e come a me pare logico fare, per la validità simbolica del racconto della caduta, essi da un lato “tamponerebbero”
sul fronte dell’utilità sapienziale
delle Sacre Scritture, ma dall’altro sarebbero costretti a rivedere drasticamente e per sempre in termini simbolici
anche tutta quanta la dottrina della
redenzione del Cristo: se Paolo dice infatti che Cristo è morto e risorto
per emancipare l’umanità dal Peccato Originale, ma questo non è mai accaduto,
è facile capire come anche il “movente” del sedicente salvatore verrebbe
semplicemente meno. Se la caduta non c’è mai stata, Cristo non può essere morto e risorto per rimediare ad essa: cosa sarebbe venuto a fare, allora, non avendo con
tutta evidenza egli né posto fine ai peccati personali, né alle semplici
tentazioni, né instaurato il regno messianico sulla Terra? Lo vedremo nella terza parte dell’articolo: nella prossima, procederò con l’unica azione ancora a mio avviso praticabile dopo il ragionamento di cui sopra: la decodifica mitologica
del brano narrato in Gn III. Gli elementi “chiave” di cui ricercare il valore
simbolico, al fine di comprendere la consistenza del solo Peccato
originale, sono a mio avviso: il serpente; il nome, il ruolo e la collocazione
dei due alberi speciali (Gn II, 9: «l'albero della vita in mezzo al giardino e
l'albero della conoscenza del bene e del male»; Gn II, 17: «dell'albero
della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne
mangiassi, certamente moriresti»;
Gn III, 3: «del frutto dell'albero
che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo
dovete toccare, altrimenti morirete»);
il tipo di desiderio che muove i peccatori; le conseguenze del peccato.
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