Siamo giunti ad una preliminare
ricapitolazione del lavoro fino a qui intrapreso con questa serie d’articoli:
I, presupposti (come racconti
fantastici legittimino una lettura simbolica);
II, genesi (1/3 – Adone e
Zoroastro nelle fondamenta del Cristianesimo);
II, genesi (2/3 – Essenismo,
Ellenismo, Rabbinismo e primo Cristianesimo);
II, genesi (3/3 – Sabbatei Zevi,
Paolo di Tarso ed il messianismo ebraico);
III, costituzione (1/3 – Documenti
storici sulle origini del canone del NT);
III, costituzione (2/3 –
Questione sinottica e cronologia redazionale del NT);
III, costituzione (3/3 –
Evoluzione delle dottrine paolina e neotestamentaria).
In questa sede affronterò, alla
luce di quanto già esposto, i temi fondamentali della differenza fra il Cristo
della fede ed il Gesù storico, della Risurrezione e della relativa Redenzione,
nonché dell’attribuzione delle stesse all’uno, piuttosto che all’altro. Ho
mostrato come il Cristianesimo (non solo) delle origini, abbia tali e tanti
punti di contatto con mitologie precedenti da “quasi” costringere a pensare che
proprio queste siano state il “bacino” a cui esso abbia attinto per costituire
la propria dottrina: da una parte, a me pare molto più probabile questo che non
la tesi patristica, a mio avviso inaccettabile, secondo cui Dio avrebbe guidato
la produzione di un evento storico in tutto simile ai preesistenti miti
(cfr. Giustino Martire); dall’altra, è vero che, almeno in linea teorica, resta
legittima pure l’ipotesi cattolica secondo la quale Dio, inserendosi nel “tessuto”
della storia, abbia portato provvidenzialmente gli uomini a maturare un’idea
precisa su di Lui proprio attraverso una serie di tentativi parziali, quali
quelli di altre religioni, miti e filosofie preesistenti.
Trovo necessari alcuni
chiarimenti. Anzitutto, dire che Dio abbia guidato i tentativi umani di
comprenderlo affinché questi un giorno fossero premiati attraverso la scoperta
della “vera religione”, mi pare destabilizzi seriamente il concetto abramitico
di rivelazione, secondo il quale
invece Dio, in prima persona, si sarebbe mostrato faccia a faccia agli uomini: o Dio ha guidato la Storia verso la
verità o s’è affacciato dal cielo per mostrarla. Francamente, mi pare ridicolo che
Dio abbia guidato l’umanità per una serie di tentativi erronei, se già aveva in
mente di rivelarsi direttamente; per la
Chiesa, Dio avrebbe agito in modo apparentemente contraddittorio affinché la
rivelazione, parlando una lingua divenuta oramai consueta agli uomini tramite i
simboli di miti preesistenti, fosse da questi comprensibile (è la dottrina della
cosiddetta pedagogia divina): a me
pare una tesi molto simile a quella usata per coniugare (male, direi) l’evoluzionismo con l’idea di un Creatore
e ritengo che non ci voglia molto a capire un morto che risorge, così come non
ci sia bisogno, per un dio creatore, di fare stragi di dinosauri e scimmie prima
d’arrivar a produrre la Sua umanità senziente. Almeno sull’evoluzionismo, un
credente potrebbe obiettare che la nozione religiosa di creazione indichi che la realtà trovi in Dio la propria sostanza,
ma a questo punto bisognerebbe ammettere d’essere passati dalla lettera al simbolo, rispetto alla dottrina creazionista: sarei d’accordo ed anzi,
quest’approccio è proprio quello che intendo argomentare e promuovere con
questa serie.
Senza “metter in campo” argomenti
di tipo metafisico, ma limitandomi all’uso del buon senso, direi che la
risurrezione di Gesù, anche alla luce degli innumerevoli miti analoghi
preesistenti, imponga una presa di posizione radicale fra non più di tre
opzioni: 1) essa è avvenuta, il suo significato è nell’evento stesso e consiste
nel fatto che Gesù sia il dio vero - chi sceglie questa opzione, si troverà
nella fatica di spiegare come mai di tanti altri, prima di Gesù, le
religioni dicano siano risorti; 2) essa è avvenuta, ma il suo significato è
simbolico e sta nel fatto che chi è come Gesù, come Gesù risorgerà - chi
sceglie questa opzione, si troverà nella fatica di spiegare come mai Gesù solo (od
al massimo anche Osiride, Dioniso ecc.) sia risorto in forma corporea ed a
ridosso della sua morte fisica, mentre tutti gli altri martiri della storia, a
quanto pare, si dovrebbero accontentare d'esser vivi in qualche altra
dimensione e solo nella forma d'una presunta anima; 3) essa è un simbolo che
si ripresenta, sotto le parvenze di racconti pseudo-storici, per illustrare miticamente
la condizione di chi giunge a viver “intensamente” (la risurrezione, insomma,
sarebbe il simbolo di un rinnovato rapporto con la realtà, causato da un
percorso iniziatico di maturazione e non
un superamento della morte fisica). La prima ipotesi pretende che, di una
miriade di racconti religiosi di risurrezione, soltanto uno sia vero nonostante
risulti confrontabile con gli altri in tutto e per tutto; la seconda ipotesi pare
capace d’ammettere la presenza di più persone che storicamente siano risorte (il
che renderebbe, certo, molto più semplice giustificare la predicazione paolina
sul risorto, quando i testimoni oculari di Gesù erano ancora vivi), ma si trova
davanti ad un dilemma esistenziale: «se
dai fatti paiono risorgere in maniera visibile soltanto pochissimi esseri (speciali, poiché l’annuncio della loro
risurrezione – ammesso che sia avvenuta – non è associata all’insegnamento di alcuna
via per la quale qualcuno sia riuscito, prima o poi, ad “imitarla” tornando in
vita a sua volta) come Gesù, Osiride, Dioniso, ecc., perché il loro risorgere
dovrebbe interpellarmi eticamente?».
Io propendo per la terza ipotesi: la risurrezione è un evento esistenziale
ovvero sapienziale, il cui valore per l’eternità sta nel fatto che ciascuno esiste
eternamente per ciò che di sé esprime (o non esprime) progressivamente nel
tempo della sua vita. Riassumendo: che il Gesù storico non coincida affatto col
Cristo della fede, mi pare d’averlo dimostrato ampiamente nelle precedenti
trattazioni: mentre solo la prima e la seconda ipotesi possono essere
ascrivibili anche al primo, la terza può essere riferita solamente al Cristo,
inteso come un personaggio mitico venutosi a costituire, all’interno di un
culto, grazie alla sovrapposizione di simboli sapienziali sulla vicenda
concreta d’un profeta storicamente venerato. Riguardo la risurrezione, mentre
l’ipotesi ch’essa riguardi storicamente solo Cristo fra tutti i miti pare semplicemente
faziosa e mentre l’ipotesi d’un evento storico, ma elitario, risulta incapace d’incidere
eticamente sulla vita di noi comuni mortali, direi che, l’ipotesi d’un senso
simbolico di segno sapienziale di tale mito, sia l’unica davvero
capace di suggerire uno stile di vita orientato ad esso, finalizzato cioè a
percepire la vita nel modo specifico indicato di volta in volta da ciascun "risorto" di ciascun culto della Storia.
La risurrezione è legata nella
dottrina alla redenzione dal Peccato Originale, una tesi religiosa che, abbiamo
visto, compare già nello Zoroastrismo: la morte/risurrezione di Cristo emerge
dottrinalmente in Paolo come il sacrificio espiatorio capace di cancellare la
colpa dei progenitori, ma questa colpa non risulta affatto dalla tradizione
interpretativa ebraica del famoso passo di Genesi riguardante Adamo ed Eva.
Secondo il quotato forum Consulenza Ebraica,
il serpente è l’immagine figurata delle pulsioni istintuali, le quali precederebbero la caduta della prima
coppia ed anzi ne sarebbero la pre-condizione: non sarebbe a causa della caduta, che Adamo ed Eva avrebbero assunto le pulsioni carnali; sarebbe a
causa delle pulsioni carnali, rappresentate dal serpente, che Adamo ed Eva
sarebbero anzi caduti. L’episodio del cosiddetto “peccato originale”, a
giudizio dell’interpretazione ebraica, costituirebbe la rappresentazione mitica
della costante lotta che l’umanità sostiene tra la scelta di assecondare la
propria natura e la scelta di castrarla, restando in ginocchio davanti a YHWH:
il collegamento fra il sudore della fronte, il doloroso parto e la vita istintuale,
non sarebbe che un’associazione logica fra elementi del medesimo contesto. Già ai tempi dei primi cristiani, come ho spiegato, è possibile notare la suddetta divaricazione circa gli atteggiamenti in merito alla risurrezione: alla comunità che si riferisce al VT non interessa niente del ritorno dai morti, in quanto essa ritiene la risurrezione come simbolo esistenziale, preferendo concentrarsi infatti sugli insegnamenti del maestro; per Paolo, conta soltanto che Gesù sia risorto e non la sua biografia, in quanto egli riconosce la vittoria sulla morte come il gesto salvifico che giustifica la Sua venuta; i vangeli canonici mediano, derivando la propria soteriologia (dottrina della salvezza) da Paolo, ma includendo detti di VT riadattati e cercando di appagare anche la curiosità dei lettori circa la biografia del Cristo. Qualunque fazione del sec. I avesse "ragione", c'è da ammettere che l'associazione paolina posta fra
morte/risurrezione di Cristo e Peccato Originale, quando per certo quest’ultimo non è che
una dottrina presa altrove, mina alle fondamenta la storicità del Kerygma.
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