Al termine della prima parte di
questo articolo, abbiamo riassunto le posizioni preliminari di Paolo riguardo
la questione sinottica, ovvero: 1) che i primi testi ad essere redatti del NT
sono lettere di Paolo, il quale non conosce personalmente Gesù, non conosce
nulla della biografia di Gesù, riferisce il suo mandato (ben 8 anni dopo la
morte di Gesù) direttamente al “risorto” e sarebbe in rotta con i cristiani
della prima ora non tanto a causa del suo predicare ai pagani, approvato da
Pietro (Atti XI, 1-18), ma a causa
del modo, ovvero anzitutto a causa della sua totale noncuranza delle indicazioni date da Giacomo al cosiddetto Concilio di Gerusalemme (l’evento in
cui si decise per la non imposizione della legge mosaica ai pagani convertiti,
ma anche per l’estensione a tutti del divieto alle carni immolate, al sangue e
all’impurità; cfr. At XV, 23-29); 2) Paolo inizia la sua carriera professando
l’imminente ritorno del Signore che salverebbe chi credesse in Lui ed invitando
alla santificazione personale, poi corregge il tiro invitando i credenti a
riprender a lavorare e passando, dalla semplice idea della fede salvifica in
Cristo, alla più complessa dottrina del peccato originale; 3) tra i vangeli, i primi a prodursi sono i
sinottici e tra essi, per primo pare emergere Mc riportando i racconti di Pietro,
testo dal quale poi Mt e Lc prenderebbero ispirazione, unitamente a una
presunta fonte Q di soli detti forse
perduta e forse identificabile col Vangelo (apocrifo) di Tommaso.
Volendo comprendere la struttura del NT, mi protrarrò ora a recuperare
la storia di Marco attraverso le Scritture, per lasciar ad altra sede la discussione circa l’evoluzione del pensiero
paolino ed il rapporto fra quest’evoluzione e la stesura dei sinottici. In Mc,
l’identità di Gesù é un mistero che si esprime nella sua vita: egli mostra una completa
signoria sulle forze della natura, sulla Legge, sui demoni, sulle
malattie ed anche sulla morte. Di Marco sappiamo che è un ebreo di Gerusalemme
che ha nome Giovanni: Marco è il suo secondo nome latino, a volte è chiamato
Giovanni, a volte solo Marco, a volte Gian Marco. È figlio di Maria, una ricca vedova
che diventa seguace di Gesù, presso la quale Pietro trova rifugio dopo la sua
miracolosa scarcerazione (At XII, 12-17). In Atti XII, 25, il cugino di Marco,
un altro credente illustre di nome Barnaba, arriva a Gerusalemme da Antiochia,
portando con sé Paolo: Marco parte con loro,
ma ad un certo punto, la collaborazione subisce un arresto in
quanto, mentre Paolo e Barnaba proseguono, il nostro sceglie di
tornare a Gerusalemme (At XIII, 13); alla vigilia di un viaggio successivo, la
discussione circa la riammissione di Marco produce la separazione di Barnaba da
Paolo (At XV, 36-41).
Il rapporto fra Paolo e Giovanni Marco dev’essersi (secondo il NT) ricomposto:
nella Lettera a Filemone, uno dei primi e più corti testi del NT, ai vv. 23-24 dell’unico
capitolo, Paolo parla di Marco come di un suo collaboratore, il quale si
troverebbe con lui a Roma assieme ad Aristarco, Dema e Luca; nella lettera ai
Colossesi, egli invita questi ad accogliere bene Marco quando arrivasse da loro
come suo emissario. Per una serie di concordanze fra la lettera a Filemone, la
lettera agli Efesini e la lettera ai Colossesi (tutte scritte prima di Mc e
prima di At: «Il recapito della lettera fu affidato da Paolo a Tìchico e ad
Onèsimo, cfr. Col IV, 7-9. Tichico doveva anche, nel corso di questa stessa
spedizione, consegnare l'epistola destinata agli Efesini, cfr. Ef VI, 21.
Quanto allo schiavo Onesimo, egli doveva, su ordine di Paolo, tornare dal suo
padrone Filemone e consegnargli la lettera che l'apostolo aveva scritto proprio
per lui, cfr. Fm 12; 21» - Wikipedia), sappiamo che la citata collaborazione romana
fra Paolo e Marco risalirebbe al 60-62 d.C. Pietro, secondo la ricerca,
sarebbe morto tra il 64 ed il 67 d.C. e la sua prima (ed unica oggi
attribuitagli) lettera, datata attorno al periodo della sua morte, conclude così: « La
chiesa che è in Babilonia, eletta come voi, vi saluta. Anche Marco, mio figlio,
vi saluta » (V, 13). Si è già visto come «Eusebio di Cesarea [nel suo Storia
Ecclesiastica, vv. II, 15; III, 40; VI, 14] accenna… alla testimonianza del vescovo Papia di Ierapoli e Clemente
di Alessandria secondo i quali Marco scrisse il suo Vangelo a Roma su richiesta
dei cristiani di quella città, che desideravano una testimonianza scritta degli
insegnamenti di Pietro e dei suoi discepoli; questa notizia è confermata da
Ireneo di Lione [Contro gli Eretici, v. III, 1]» (Wikipedia); si è vista ora la
cronologia interna al NT circa i fatti: proverò quindi a tirare le somme per quanto
riguarda la stesura di Mc, per proseguire poi, nella terza parte di questo
articolo, con un breve sommario dell’evoluzione dottrinale nel NT non secondo l’ordine
canonico dei libri, ma secondo quello temporale delle loro date di redazione.
La mia ipotesi sulla questione sinottica è questa: il primo vangelo ad
essersi formato è Mc. Se a Marco fu richiesto dai romani di mettere per
iscritto la testimonianza di Pietro, significa che i romani erano al corrente
che Marco la conoscesse e questo è ragionevole, dal momento che Pietro aveva
dimostrato d’avere così tanta confidenza con casa sua a Gerusalemme, da
recarvisi dopo una fuga dal carcere. Mi pare lecito pensare che, dopo il
litigio con Paolo, Marco sia tornato appunto a Gerusalemme presso la madre e
presso, ovviamente, la comunità giudeo-cristiana capeggiata da "suo padre" Pietro e da
Giacomo "fratello di Gesù". Mc è scritto nella cattività paolina di Roma, coevo alle
lettere a Filemone, Colossesi ed Efesini; nella Lettera a Timoteo (65 d.C.
c.ca), Paolo cita fra i suoi collaboratori il solo Luca, segno che i già
presenti Marco, Aristarco e Dema se n’erano andati, col primo probabilmente
diretto a Babilonia assieme a Pietro. Pietro, secondo questa
ricostruzione e cioè secondo le testimonianze del NT, non sarebbe mai stato a Roma ed anzi, la tradizione
romana che associa Pietro a Paolo sarebbe dovuta proprio all’opera redazionale di Marco. Il testo
di Mc sarebbe rimasto ai romani, presso i quali avrebbe subìto alcune modifiche
tra cui, la più eclatante, pare l’aggiunta del finale; sarebbe rimasto presumibilmente
anche nelle mani di Marco e giunto con questi in Palestina dove, avendo
incontrato altri scritti locali riportanti raccolte dei detti di Gesù, avrebbe
fornito la base per la stesura di Mt; sarebbe rimasto ragionevolmente anche
nelle mani di Luca il quale, rientrato forse a ridosso della morte di Paolo (collocata
attorno al 67 d.C.) o qualche tempo dopo Marco, Aristarco e Dema, sarebbe anch’esso
giunto a contatto con la redazione cosiddetta Q e/o finanche con Mt, producendo finalmente un’ulteriore sintesi,
comprensiva di alcuni elementi originali raccolti da lui stesso.
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