Parole nuove
sono quelle che la Chiesa, sin dal primo secolo, rinunciò a cercare davanti
alla sfida di farsi accettare dal mondo ellenistico. Lo scandalo e la stoltezza
del carpentiere reietto, ucciso dai romani sul patibolo, procurava
inconsciamente una tale vergogna culturale, nei primi intellettuali cristiani,
tale da dover essere giustificato secondo i vecchi parametri della ragione
greca: metafisica, principio retorico di non contraddizione, principio
meccanicista di causa-effetto.
Il falegname
galileo divenne allora “figlio di Dio” secondo l’argomentazione di un raffinato
gioco logico di matrice aristotelica: l’essere morto in croce piangendo e
trepidando per gli amici in fuga e per il dubbio sul senso del proprio
percorso, dopo tutto il bene fatto, non era sufficiente alla filosofia per
giustificarne lo statuto divino. Il paradiso divenne l’obiettivo metafisico
della vita cristiana, in sostituzione della compagnia di un Signore innamorato,
nel proprio dolore. Il dolore, poi, divenne qualcosa da superare (nel
sacrificio e nell’aldilà), anziché parte della condizione umana stessa, da
vivere nel senso che era l’amicizia
con Gesù. Solo il rito mantiene tutt’oggi la memoria e la sostanza di ciò che
la teologia ha misconosciuto: perlomeno nella misura in cui il rito stesso non
sia semplice espressione della teologia, ma autentica tradizione.
Poi anche la civitas cristiana è tramontata: ma non
il suo sistema di vergogna per il Cristo, per cui oggi ancora è la ridotta idea
greca di ragione a costituire per la cultura borghese il discrimine tra ciò
ch’è savio e ciò ch’è fantasia. Sopravvive l’ambizione a superare il dolore;
sopravvive l’idea gnostica di un mondo perfetto, nascosto alle spalle di ciò
ch’è visibile. Tramontata è invece la religiosità: la libertà umana, verso il
nuovo, capace di riconoscere il Dio in un uomo che muore. La società edonistica
non è che il frutto di quest’uso gnostico e quantitativo della facoltà del
pensare, elevata a misura del mondo: non è che il frutto della vergogna della
condizione umana espressa dal Signore, vergogna che ancora oggi fa dividere
dualisticamente, almeno nelle ambizioni, il bene dal male ed entrambi dalla
vita; non è che il frutto del rifiuto della croce, ch’è rifiuto dell’umano
stesso.
BIBLIOGRAFIA
di riferimento:
CASTILLO J. M., Dio è la
nostra felicità, Cittadella,
Assisi 2008;
GALIMBERTI U., La terra
senza il male, Feltrinelli,
Milano 2009;
MORALDI L. (a cura di), I Vangeli gnostici, Adelphi, Milano 2007.
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