Si è detto che la spiritualità “pagana” si distingue da quella
neo-abramitica (post 70 e.v.) per la diversa considerazione del rapporto fra esperienze ed
idee. Mentre ogni cultura “pagana” lascia che ogni nuova esperienza trasformi
il suo pantheon, le culture
neo-abramitiche operano esattamente al contrario e cioè riducendo l’esperienza
entro i ristretti preconcetti imposti dalle presunte rivelazioni divine: una
pre-comprensione che, come desumibile dai loro “assunti”, sia gli attuali
“pagani” di tipo “ricostruzionista” (approccio filologico), che i sedicenti
“neo-pagani” (approccio eclettico), dimostrano di non cogliere. Se da un lato i
“ricostruzionisti” perseguono una visione “cristallizzata” delle proprie
pratiche, dimenticando che ogni pantheon si è costantemente evoluto e che
pretendere di ricostruirne uno in forma “fissa” è un atto sostanzialmente dogmatico, altrettanto dogmatici
risultano i “neo-pagani”, nella misura in cui ritengono che la “parentesi
cristiana” abbia costituito in Europa uno “spartiacque” storico, anziché
un’esperienza tra le altre, oltre la quale procedere.
Ora mi pare necessario proseguire indicando quali ulteriori
caratteristiche, oggi come ieri, contraddistinguano la “paganità”. I “pagani”
di ogni latitudine ed epoca partono dall’esperienza per identificare iconograficamente
alcune qualità ed alcuni contesti tipici del vivere umano: la gelosia, il
desiderio, l’ordine sociale, il mare, il conflitto, la ricerca di senso, la
mediazione fra necessità diverse, la fame, la ricchezza, la nascita, la morte,
ecc., diventano nel mondo “pagano” archetipi
con i quali tutti e ciascuno hanno a che fare. L’uomo pagano fa esperienza di
due circostanze: 1) le qualità ed i contesti del vivere umano precedono il singolo individuo, lo condizionano inesorabilmente, sopravvivono alla sua estinzione fisica e sono quindi “Déi immortali”; 2) gli
Déi, ovvero le energie “qualitative” ed “ambientali” con cui tutti e ciascuno
hanno a che fare, evolvono; mutano forma; si accorpano (da due divinità ad una
sola con duplice caratteristica); si separano (una divinità pluri-archetipica
si scinde in due divinità che si spartiscono le qualità originarie della loro
progenitrice), in un “gioco” esperienziale nel quale le energie vengono
diversamente rappresentate, al seguito del mutare della forma con cui gli
uomini ne facciano esperienza nel loro specifico contesto
socio-politico-ambientale.
Ogni pantheon “fa la spia” dello specifico stile di vita del
popolo e/o del singolo che lo adotta: ad esempio il mare, il desiderio di
ricchezza e le carestie sono esperienze condivisibili da tutti i popoli
mediterranei, ma un popolo di predoni navali ringrazierà la “divinità dei mari e della conquista”, mentre un popolo costiero predato temerà una “divinità dei mari e della carestia”. A seconda del proprio
stile di vita, un popolo si raffigura in modo diverso le medesime energie ed i
medesimi eterni e condivisi archetipi; a seconda delle sue
specifiche immagini archetipiche
(ovvero le declinazioni particolari degli archetipi universali), un popolo si
relaziona in modo specifico alle proprie divinità: ora con timore, ora
contrattualmente, ora con presunzione. Se in un’epoca di bisogno quale ad
esempio il medioevo, il popolo europeo implorava in ginocchio il dio-padrone
insegnato nel Cristianesimo, in un’epoca di “euforia scientifica” come quella
positivista, l’atteggiamento supponente ed ateo “l’ha fatta da padrona” in gran
parte del continente europeo. Timore per la miseria, regime monarchico e sudditanza
psico-emotiva al dio cristiano sono andati necessariamente
di pari passo nell’Ancien Regìme in
Europa, così come oggi, sempre in Europa, appare evidente l’inevitabile
avanzamento parallelo fra ottimismo tecnologico, regime democratico e
soggettivazione dell’esperienza spirituale-religiosa.
Trovo che le precedenti considerazioni possano risultare
illuminanti per trarre nuove indicazioni circa la consistenza di una
contemporanea pratica “pagana”: questa, partendo dall’esperienza, oggi come
ieri non può che procedere dalla comprensione di ciò che si è nel contesto in
cui ci si trovi. Se in epoche in cui “fare gruppo” era indispensabile per
sopravvivere, l’edificazione di un pantheon risultava inevitabilmente
“sbilanciata” sul piano dello stile di vita collettivo, nell’Occidente
tecnologizzato attuale mi pare anzitutto ragionevole che si aderisca ad un
pantheon in cui si avvertono meglio riflesse le personali esperienze delle
energie del reale: solo in un secondo momento, persone che abbiano adottato
stili di vita e di valori sufficientemente simili potranno associarsi per
condividere in tutto od in parte il loro culto, ovvero la loro personale
relazione con le “forze della
realtà”: forze della realtà che del resto s'impongono ed appaiono eterne all’uomo "d'oggi", così come all’uomo "di ieri". In base alla sua esperienza, l’uomo di oggi può
assumere una specifica modalità relazionale con la realtà, piuttosto che un’altra:
in questa scelta consiste la sua libertà, mentre nell’esistere delle forze
consiste la sua appartenenza oggettiva al reale. La spiritualità pagana
dell’uomo contemporaneo, così com’è stata a livello comunitario per i pagani
dell’epoca pre-cristiana, consiste sostanzialmente, a mio avviso, nella “scelta
evolutiva” circa la modalità relazionale “ingaggiata” con quella realtà esterna
che s’impone come “oggettiva”.
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