La spiritualità “pagana”, la cui
evoluzione nell’epoca ellenista pure divenne un presupposto fondamentale della
veniente cultura neo-abramitica (Cristianesimo, Giudaismo, Islam), si
distingueva da quest’ultima per la diversa considerazione del rapporto fra
esperienze ed idee: mentre ogni cultura “pagana” lasciava che ogni nuova esperienza
trasformasse il suo pantheon, le
culture neo-abramitiche operano esattamente al contrario e cioè riducendo l’esperienza
entro i ristretti preconcetti imposti dalle presunte rivelazioni divine. Studiando
le divinità politeiste, facilmente ci s’imbatte in mitologie contrastanti,
riguardanti la medesima divinità; facilmente ci s’imbatte nell’accorpamento di
una divinità straniera all’interno di un pantheon;
facilmente ci s’imbatte nell’accorpamento di più divinità –e relativi attributi,
in un’unica divinità o viceversa; facilmente ci s’imbatte nell’evoluzione di una divinità a seguito di contaminazioni, sconvolgimenti
politico-economici o variazioni dello stile di vita del popolo che ad essa
rendeva culto.
Non esiste un solo pantheon antico le cui ultime e più “recenti”
tracce siano concordi con le prime e più antiche. Secoli e secoli di tradizione
di un popolo, ovunque portarono questo ad evolvere, in base al proprio stile di
vita e per l’appunto, alle proprie esperienze, non solo la propria concezione
delle divinità, ma spesso, il modo stesso di concepire il rapporto fra sé ed il
mondo: alla luce di queste assunzioni, proverò ora a dire “la mia” circa l’attuale
diatriba fra le definizioni “pagano” e “neo-pagano”, riferite alle pratiche
spirituali occidentali odierne e d’origine non abramitica. Generalmente, oggi si
auto-definiscono “pagani” i cosiddetti “ricostruzionisti”, ovvero quei
gruppi i quali, attingendo quanto più possibile da fonti storico-archeologiche,
intendono ripristinare i culti antichi in modo filologicamente esatto; generalmente,
si auto-definiscono “neo-pagani” coloro i quali, preso atto dell’impossibilità
di riprodurre con esattezza ed oggi i culti antichi, sia a causa delle lacune d’informazioni,
che dell’inevitabile trasformazione subìta dal contesto spazio-temporale (anche
e soprattutto a causa della “parentesi” cristiana, perlomeno in Europa), si
adoperano in diversa maniera a riprendere alcuni elementi tradizionali,
ricombinandoli però in modo sincretico ed eclettico, al fine di coniugare il “ritorno
a casa” nella tradizione e la vita contemporanea.
A mio avviso, alla luce di quanto
detto circa i rapporti fra esperienze ed idee nella mentalità pagana, entrambi
gli “schieramenti” commettono errori facilmente riscontrabili. I “ricostruzionisti”,
a mio avviso, troppo spesso idealizzano la "forma", a dispetto della "sostanza empirica" (ovvero la priorità "pagana" all'esperienza) di cui già si è detto: anche volendo riprodurre pedissequamente un culto antico di
cui si avesse precisa descrizione, dovrebbero anzitutto domandarsi “quale
epoca?” ricostruire. Il pericolo principale, secondo me, è quello di confondere la spiritualità di un culto, con l'aspetto principalmente folkloristico della "rievocazione storica" di una specifica e circoscritta Era dello stesso: infatti e ad onor del vero, anche ipotizzando di possedere tutte le nozioni necessarie, un
conto sarebbe “fare rivivere” il pantheon
greco dell’epoca omerica; altra cosa sarebbe riproporre il culto greco dell’epoca
di Solone; altra faccenda ancora sarebbe il tornar a celebrare la ritualità
pubblica greca dell’epoca ellenistica. I “ricostruzionisti” insomma, a mio
avviso, non solo peccano d’ingenuità se ritengono che un culto “pagano” fosse
qualcosa di statico; peccano anche di dogmatismo, nella misura in cui
concepiscono un pantheon con
la stessa idea d’immutabilità ch’è tipica invece dei culti neo-abramitici
sedicenti rivelati.
Meglio dei “ricostruzionisti”,
gli eclettici comprendono il carattere illusorio della pretesa di riportare in
vita, oggi, culti legati a spazi e tempi molto distanti dal vivere
contemporaneo: ciò non di meno, definendosi “neo-pagani”, a mio avviso anche loro cadono nello stesso
fraintendimento dei primi e ponendo una distinzione fra il loro “neo-paganesimo” e
quello pre-cristiano, anch’essi dimostrano di non avere affatto capito il
carattere esperienziale e dinamico degli antichi culti. Se gli eclettici si
definiscono “neo..”, evidentemente è perché anch’essi, come i “ricostruzionisti”,
coltivano un’idea sostanzialmente “cristiana” (intrinsecamente dogmatica, in quanto
“cristallizzata” in un preconcetto) del “paganesimo” antico, che per loro è morto
e basta, essendo inteso come forma fissa
estinta dalla “frattura cristiana”. Su questo “fronte”, per concludere questo intervento direi che il “paganesimo”,
in quanto culto dinamico, possa essere praticato oggi senza alcun bisogno di
considerarsi “nuovo”: quello che veramente lo snaturerebbe, a mio avviso irrecuperabilmente, non è
l’interruzione storica subìta, ma un’eventuale mentalità subdolamente - e fatalmente - ancora troppo neo-abramitica (e cioè dogmatica, inconsciamente sprezzante del
divenire delle esperienze), dei sedicenti “pagani/neo-pagani” contemporanei.
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