Il periodo posto tra l’Equinozio
di Primavera (21 Marzo) ed il mese di Aprile, ovvero il periodo in cui si entra
sotto il segno dell’Ariete, è tradizionalmente legato alla natività degli
agnelli in tutte le tradizioni pastorali dell’area mediterranea. La gestazione
di una pecora dura cinque mesi, centocinquanta giorni: ne deriva che la festa
in cui si procedeva con la fecondazione fosse posta tradizionalmente all’inizio
del mese di Novembre, quella festa che sarebbe divenuta Ognissanti allorquando la
tradizione calendariale lunare ebraica si fosse innestata su quella lunare
romana, attraverso il Cristianesimo. Il pesce è ovunque, nelle civiltà
mediterranee, un simbolo di rinnovamento e di partenogenesi, a causa del fatto
che pareva fosse in grado di riprodursi senza fecondazione, nascendo
direttamente dalle acque come Venere (dea della Bellezza e della forza
generativa della natura), di cui presto divenne non a caso il simbolo (da qui,
la tradizione mediterranea di mangiare pesce il Venerdì, giorno dedicato alla
Dea); il periodo tra il primo di Novembre - giorno in cui il confine tra la
vita e la morte quasi sparisce, poiché appunto si celebra il rientro dai
pascoli (chiusura del periodo vitale), ma anche la generazione del gregge futuro
- ed il primo di Aprile, il giorno del pesce, è dunque un periodo tradizionalmente
legato al mistero del rinnovamento della fertilità degli allevamenti, che
coincide astronomicamente con l’interrarsi ed il riemergere del Sole ed anche,
vegetativamente, alla caduta e poi al rinnovarsi del fogliame degli alberi,
simboli questi ultimi della connessione fra le cose in alto e quelle in basso,
tra la terra in cui affondano le radici ed il cielo in cui si librano i frutti.
La terra e le radici rimandano immediatamente all’idea degli antenati, mentre i
fiori ed i frutti della nuova stagione sono inevitabilmente associati alle
nuove generazioni che si affacciano alla vita: al centro di questo percorso, il
Solstizio d’Inverno si ritrova a definire l’esatto punto di transizione tra la
morte e la rinascita. Si andò a definire un calendario fondamentale di otto
festività in cui le quattro date principali del ciclo solare (solstizi ed
equinozi) si andarono ad alternare ad altre quattro festività legate ora al
mondo pastorale (inizi di Novembre e di Febbraio)
ed ora a quello agricolo (inizi di Maggio e di Agosto): con l’introduzione
della Pasqua mobile luni-solare
cristiana (prima Domenica successiva al primo plenilunio successivo all’Equinozio
di Primavera), una festa equinoziale ed una festa pastorale andarono a
sovrapporsi fino ad essere festeggiate assieme.
Nell’area celtica, la fecondità
delle pecore era (ed è ancora, specie in ambito neopagano) celebrata con
una festa di nome Imbolc, che
letteralmente significa “in grembo”, posta il primo giorno di Febbraio: non
sembra difficile capire che proprio ad un paio di mesi dal parto si potessero
notare le forme della gestante, oltre ad immaginare che il periodo di maggiore
pericolo per la gravidanza fosse oramai superato. Il mese di Febbraio, in
Italia, deriva il suo appellativo all’etrusco Februus,
nome del Dio della morte e della purificazione, dal quale i romani trassero il titolo anzitutto per la Dea Febris, la quale sovrintendeva alla guarigione
dalle febbri malariche. Con il passaggio da una cultura villica ad una di
stampo cittadino, come quella della Capitale, il periodo della gestazione degli
agnelli fu presumibilmente associato a quello della gravidanza umana, per la
quale la febbre e specialmente quella malarica era ed è assolutamente pericolosa,
in quanto potenzialmente foriera di convulsioni capaci di procurare l’aborto
spontaneo. In epoca pre-repubblicana, Numa Pompilio associò culturalmente, nel mese più freddo, il
processo di guarigione al processo di morte e purificazione, attorno al tema generativo, dedicando il mese a Februus e contemporaneamente
ordinando l’offerta di sacrifici funebri ai mani,
gli spiriti degli antenati che, placati, avrebbero dovuto concedere alle nuove
generazioni la facoltà di nascere in salute per il bene del popolo. Nella
cultura romana successiva alle monarchie d’origine etrusca, mentre la Dea
Febris presiedeva strictu senso alle
guarigioni (in quanto il termine “febbre” era andato oramai ad indicare non
più soltanto la malaria, la quale anzi era finita per essere appannaggio di
altre due Dee, Terzana e Quartana), i quindici giorni tra la metà di Gennaio e
l’inizio di Febbraio furono dedicati ad un’alter ego della Dea, di nome Februa, la quale altri non era che l’incarnazione
di un appellativo della Grande Madre Giunone, Iunio Februata (ovvero la “purificata”).
Probabilmente fu il ricordo dei fuochi utilizzati per distruggere le garze e le
suppellettili usate appresso ai malati di malaria, che portò alla tradizione
della processione di fiaccole per la città, attuata a cura delle donne, nelle
ultime due settimane di Gennaio: di nuovo, il binomio “guarigione-purificazione”
era associato al tema della maternità, nel periodo dell’anno ancora oggi più
soggetto alle febbri ed alle influenze.
Come già si scrisse a proposito
del Santo Natale e dell’Epifania, con l’avvento del Cristianesimo le feste d’inizio
Febbraio, poste a 40 giorni esatti dal 25 Dicembre, finirono per essere
integrate nella mitologia solare del Messia, ritrovando la simbologia del
fuoco non più associata alla guarigione dalle malattie ed in forma di fiaccole,
quanto piuttosto, in forma di candele, al principio di quel cammino di purificazione che è la Quaresima. I
fuochi sterilizzatori divennero la Luce Divina che purifica gli sguardi; la
richiesta di salute per la città e l’offerta votiva ai mani divennero la Presentazione
del Salvatore al tempio, che allo stesso tempo incarna l’esposizione al popolo
del Bambino d’Oro e l’offerta di un
primogenito al dio del Paese; gli onori a Giunone Purificata passarono alla Purificazione di Maria a quaranta giorni dal parto, memoria da sempre
associata alla Presentazione, nella liturgia cattolica, entro la tradizionale Candelora del 2 Febbraio.
Nessun commento:
Posta un commento