Avanziamo in un’ulteriore
ricapitolazione del lavoro fino a qui intrapreso con questa serie d’articoli:
IV, primo sommario (presupposti
di un’interpretazione mitica del Cristianesimo);
VI, secondo sommario (sottomissione
come contributo essenziale dell’Ebraismo);
VII, significanti (riconoscere un
simbolo nell’ambito di una narrazione tradizionale);
VIII, esoterismo (stabilire e valutare
la legittimità di un’interpretazione simbolica);
IX, significati (Cattolicesimo,
esoterismo cristiano e Cristianesimo esoterico);
X, iniziazione (gerarchia,
iniziazione e sua parodia nelle Chiese tradizionali).
Avendo affrontato
sistematicamente (per quanto non in modo esaustivo) tutte le principali
problematiche emergenti dalla necessaria ricomprensione storica della genesi
della dottrina cristiana, mi appresto ora a tirare le somme per quanto concerne
un giudizio su tale dottrina, alla luce dell’indicazione evangelica per cui dai
frutti si riconosce l’albero (cfr.
Mt VII, 15-20). Prima di procedere, mi preme riaccennare ad alcune
considerazioni: 1) alla luce dei dati finora esposti, appare come estremamente più probabile, rispetto
alla tesi ufficiale della dottrina, l’ipotesi di una genesi squisitamente
strumentale del NT, nato chiaramente da fonti composite al solo fine di vincere
una battaglia culturale della sua epoca di redazione; 2) Quali che siano state
le reali idee del presunto rabbino itinerante (ed eventuale insurrezionalista) Jeshua
il nazireo, non si può che ammettere l’evidente sincretismo in cui esse siano confluite
all’interno del NT, data l’enorme eterogeneità delle fonti di quest’ultimo; 3) Quali
che siano state le reali idee del personaggio storico Jeshua, non si può che
ammettere come la Chiesa abbia costruito non
su di esse la propria azione, ma sul sincretismo esposto nel NT, che pertanto,
assieme alla dottrina stessa ed alla Liturgia, risulta essere l’unico documento
eventualmente oggetto di una rilettura simbolica del Credo; 4) alla luce di ciò, occorre
ammettere però anche come non si possa
essere davvero cristiani, in senso
tradizionale, interpretando esotericamente le Scritture, visto che le dottrine
delle Chiese storiche pretendono di fondarsi su fatti realmente accaduti e in
questo senso un esoterista cattolico non può che cogliere, nei simboli del suo
culto, rimandi allegorici ("ammiccamenti" culturali e concettuali) ad altri dati tradizionali, sempre in funzione del culto; 5) l’unico contesto di ragionevolezza per le affermazioni
evangeliche, alla luce delle loro chiare derivazioni mitiche, è quello
simbolico e per quanto appena detto, ne deriva che l’unico modo per essere
ragionevolmente cristiani è quello d’essere cristiani esoterici (e non “semplicemente”
esoteristi cristiani); 6) non c’è motivo logico per considerare simbolici gli insegnamenti evangelici
sulla sottomissione a Dio e storico
l’evento della risurrezione, atto per cui sarebbe a sua volta, infatti,
necessario dare per storico l’evento che dottrinalmente giustifica la
risurrezione salvifica stessa, cioè la caduta dei progenitori ch’è invece
attestata in una miriade di culture precedenti a quella ebraica ed è quindi con
tutta evidenza un mito (da che ne deriva: non essendo mai avvenuto il peccato,
non ha senso che sia avvenuto l’evento della redenzione da un peccato mai
compiuto).
7) Come si è visto, credere alla
storicità della risurrezione in senso dottrinale, implica credere anche al
motivo dottrinale della sua avvenuta, ovvero il Peccato Originale, il che a sua
volta implica, necessariamente, l’aderire -magari inconsciamente- ad
un’ideologia moralista fondata sulla sottomissione a presunti “valori
oggettivi” risiedenti in effetti, in ultima istanza, nella volontà
–interiorizzata dal credente- del dio padrone. Questo accade perché, siccome l'accoppiata "peccato-salvazione" associato alla risurrezione storica, assolutizza ogni etica ad essa tradizionalmente
correlata ("se c'è una salvezza fatta così, è perché c'è un peccato fatto così; se c'è un peccato fatto così, chiunque faccia così è sbagliato e figlio d'un demonio"), di fatto non si può credervi senza essere sostanzialmente
degli assolutisti e quindi dei moralisti; 8) mentre per un esoterista cristiano-tradizionale
(cattolico, ad esempio) non risulta legittima alcuna interpretazione che, quale
che sia il suo livello “apparente” di ragionevolezza, vada contro la credenza
imposta dottrinalmente, ad un cristiano esoterico non pare legittima alcuna lettura
che risulti filologicamente e/o semanticamente incoerente con la natura
materiale di un mito o di un simbolo analizzati. A rigore di logica, in
effetti, che un’interpretazione “letterale” sia ritenuta a buon titolo
insufficiente a comprendere un mito, non significa ch’essa non centri niente
col reale significato di questo, poiché se proprio
quel simbolo è utilizzato, significa che proprio quel simbolo detiene gli attributi per lasciar intendere
ciò che il redattore voleva suggerire. Se un mito parla di sottomettersi, anche
una rilettura simbolica dello stesso dovrà prevedere una qualche forma di
sottomissione, per forza. La differenza interpretativa occorrente tra un
esoterista cristiano ed un cristiano esoterico riguarda il fermare o non
fermare la propria indagine simbolica ai limiti imposti dalla credenza in una
dottrina tradizionale ed è pertanto una questione di limiti posti alla propria apertura
conoscitiva; 9) per un esoterista cristiano intellettualmente onesto, pare impossibile restar a identificarsi in una Chiesa per sempre; 10) non è possibile alcuna
interpretazione simbolica (e quindi narrativa-educativa) di un’opera sincretica
come il NT, senza che si considerino sia la diversità di valori in essa
confluenti (cioè quali esigenze portino al suo interno i simboli mazdei; quali,
i simboli ebraici; quali, quelli orientali; quali, quelli gnostici; quali,
quelli greci; ecc.), che la “scala gerarchica” in cui essi siano quivi stati
ordinati (quali costituiscono l’ “ossatura” del senso e quali un
semplice “contro-bilanciamento” della prima?).
Parlando di Cristianesimo neotestamentario
attraverso l’espressione storica dei suoi frutti, si è già spiegato come appaia
in tutta evidenza che la Chiesa Cattolica abbia non già tradito l’insegnamento della
lettera evangelica, ma piuttosto
portato il suddetto al suo perfetto sviluppo pratico: sia nei modelli di
santità da essa prodotti, che nelle azioni di prevaricazione socio-politica, essa
ricalca perfettamente la prassi del Padre padrone, così come illustrata nel NT
dal Figlio suo (e padrone a sua volta), di ritenere consanguinei (cfr. Mt XII,50) ed amici (cfr. Gv XV, 14) soltanto coloro che si facciano servi, ritenere servi
soltanto coloro che obbediscano senza commentare (cfr. Lc VI, 40) ed altresì
ritenere comunque “inutili” tutti i loro fedeli, a prescindere da quanto
servili essi si siano dimostrati (cfr. Lc XVII, 5-10). Ipotizziamo, per un
momento, che il NT parli in senso figurato di un’altra storia; ipotizziamo, per un momento, che il rabbino Jeshua
non usasse mai la parola “padre” per riferirsi (come tutti da allora credettero)
a YHWH, ma che abbia ben giocato sul fraintendimento per fini, puramente
strumentali, di “aggancio” al retroterra culturale dei suoi interlocutori. Ipotizziamo
che il NT parli della morte dell’ego in vista del superamento delle apparenze
soggettive e del confluire dell’Io in un’originaria “coscienza cosmica” (alla
maniera degli gnostici, in un certo senso) da esso definita “comunione col Padre”. Ipotizziamo, per
un momento, che il NT utilizzi la parola “servi” per identificare i devoti alla
“verità che fa liberi” (cfr. Gv VIII, 31-32) e che poi li riconosca come
“amici”, al fine d’identificare la comunione
di coloro che siano sfuggiti all’inganno dell’Io obbedendo al (suo) “richiamo della luce”. Ipotizziamo, per un
momento, che i servi siano definiti “inutili” per sottolineare la vacuità di qualunque moto dell’ego. Di per sé,
ritengo che tutte le letture simboliche testé da me fornite, risultino in un
certo senso legittime, cioè coerenti con la lettera evangelica presa in se
stessa, ma occorre ricordare che la vera spiegazione dei vangeli risiede nelle
lettere paoline, la cui dottrina precede
la loro stesura ed anzi ne costituisce il paradigma redazionale (cioè il
criterio con cui sarebbero stati riorganizzati i materiali di base nei quattro vangeli canonici ed in special modo
nei tre sinottici Marco, Matteo e Luca). Ora, tutta la lettura paolina della
vicenda cristiana si muove nella tensione fra due istruzioni fondamentali: la
rinuncia al mondo intesa come abbandono d’ogni
progetto personale e come sottomissione
all’unica autorità dell’apostolo (e fin qui, non avremmo niente di diverso
da ciò che accade in ogni psico-sétta) auto-proclamatosi
tale, in vista del ritorno imminente del Cristo; la delusione per il mancato
ritorno e la conseguente accentuazione del centralismo organizzativo e
teologico delle comunità. Il Cristo paolino, cioè il Cristo del NT, è in prima
battuta un personaggio che chiede a tutti di rinunciare al proprio
discernimento in funzione del suo, minacciando con la morte eterna coloro che
non si presteranno (cfr. Mt XXV): ne deriva, in seconda battuta, che la
rinuncia all’ego delle ipotesi precedenti si traduca, nella pratica, in una
concentrazione esclusiva delle proprie forze e risorse in favore dell’ego “comunitario”
e cioè, sostanzialmente, del codice morale imposto dalla catena di comando e di
quella dinamica accrescitiva nota col termine “evangelizzazione”. Dalla lettura
coerente di tutta quanta (chi non la
legge tutta, non è più nella dottrina) la “lettera” del NT, emerge che la reale
natura della rinuncia cristiana all’ego consista nella convergenza, di quante
più forze possibile, verso l’ambizioso progetto culturale avviato da Paolo:
ovviamente, ciò non significa che numerosi simboli del messaggio evangelico
non possano esser assunti per educare ad un’altra etica, ad un’altra concezione
del mondo rispetto a quelle originali paoline; significa solo che un interprete
siffatto ed onesto con se stesso debba ammettere di stare commettendo, in quel
caso, un arbitrio rispetto alle
intenzioni storiche dei testi.
L’evidenza emergente da un’onesta
lettura dell’intero NT esprime, direi, uno scenario strumentalmente neoplatonico nel quale, a fronte di una proclamata
irrilevanza della sfera temporale, si reclutano forze per una colossale kulturkampf “al contrario”, nominalmente tesa al farsi accettare dal
“Cielo” e tecnicamente impegnata alla
colonizzazione religiosa dell’intero bacino mediterraneo (cioè il mondo noto) dell’epoca (e d'oggi). Le radici
dell’operazione concretizzatasi nei vangeli canonici risiedono nel progetto
delineato dalle lettere paoline e far parlare i di loro simboli prescindendo da
questo dato filologico, implica inevitabilmente il porsi fuori dalla realtà
oggettiva, ma anche dalla comprensione intima della dottrina tradizionale
cattolica, con tutto ciò che ne consegue: 1) se s’interpretano i vangeli prescindendo dal contesto dell’intenzionalità
complessiva del NT, si stanno di fatto usando
i vangeli per fini personali (quale che sia la moralità privatamente riconosciuta a questi fini personali); 2) se s’interpretano i vangeli per fini personali e non
lo si fa inconsapevolmente, allora di fatto lo si sta facendo dando più valore
alla propria interpretazione che alla lettera dei testi e di conseguenza, si
sta smettendo di considerarli sacri; 3) se si è preferito consapevolmente anteporre
le proprie letture simboliche alla comprensione
letterale (chiese riformate) e/o dottrinale (chiese antiche) dei testi,
dimostrando così la propria miscredenza nella sacralità della lettera degli
stessi e/o della Tradizione, allora l’onestà logica esigerebbe di ammettere che
anche i codici morali e del NT e della Chiesa, non vadano più da se
stessi considerati in termini assoluti e sacrali, ma in termini d’oggetto d’interpretazione
simbolica. Di fatto, chi interpreta un simbolo prescindendo dal contesto della
sua formulazione, compie sempre un atto proiettivo
del proprio ego sul simbolo stesso: in questo senso, lo ripeto per l’ennesima
volta, ogni mito canonico può invece essere legittimamente interpretato
solamente tramite letture che risultino compatibili non solo con la sua forma e
simbologia, ma anche con il contesto più ampio del NT tutto. In tutto questo, la
notizia positiva è che un cristiano esoterico, che abbia preventivamente accettato
l’esigenza scientifica d’uscire con la sua ricerca dai limiti ideologici del NT
e della dottrina, ha la possibilità di estendere la sua conoscenza del fenomeno
cristiano ad altre fonti, ad altre dottrine, per poi produrre da esse una propria sintesi originale la quale,
essendo slegata da credenze storiciste, si permetta legittimamente d’utilizzare
le immagini archetipiche delle varie tradizioni cristiane non già per
avvalorare tesi autoreferenziali (cioè fondate su ulteriori credenze e non su
argomentazioni di tipo sperimentale e /o logico), ma per esprimere, in modo
diverso che con la parola, una weltanschauung
ed una metafisica che si reggano in loro stesse, a prescindere dal presunto
valore normativo dei dettami divini e dei simboli religiosi da esse assunti.
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