Nel precedente articolo, sulla scia della presentazione di un
simpatico esempio proposto dall’antropologo Maurice Bouisson e riguardante una
strampalata interpretazione “solare” della biografia di Napoleone, ho mostrato in quali termini io ritenga legittimata,
a rigor di logica, una lettura simbolica del NT. Anzitutto, ribadii che « “i concetti di archetipo, di mito e di
simbolo sono risalenti all’epoca illuminista; nella percezione antica, il mito
si confonde con la poesia (sono i poeti, ad inventare le leggende) e la poesia
si confonde con un’ispirazione soprannaturale che ha come proprio modello
l’esperienza sciamanica”: questo
significa che l’intendimento contemporaneo del simbolo, successivo alla lezione
di Voltaire […] e soprattutto di
Freud, è probabilmente anacronistico rispetto alle intenzioni di coloro che, in
epoca pre-cristiana, si trovarono ad elaborare le narrazioni fondanti dei
propri popoli »; in seconda istanza, ricordai la ricomprensione junghiana
del « tema di simbolo come “oggetto
d’intuizione”, ovvero come restituzione, nelle forme di una specifica cultura
(sul piano storico collettivo) o coscienza (su quello storico esistenziale), di
esperienze ancestrali (sul piano della specie) od inconsce (sul piano dell’individuo)
»; quindi, procedetti con l’esporre un elenco di caratteristiche che un
elemento narrativo dovrebbe possedere, per giustificare una sua lettura
simbolica. In particolare, nell’esigenza (4) di «coerenza fra il significato simbolico riconosciuto ad un elemento [narrativo] e le caratteristiche fisiche oggettive
dell’elemento significante stesso», provai ad anticipare il tema ch’è lo
specifico oggetto del presente lavoro e cioè la qualità dell’interpretazione sostenibile
da un simbolo, qualora esso sia riconosciuto come tale. Le questioni problematiche
legate alla lettura degli elementi simbolici di una narrazione, sono in effetti
due: la prima è quella di riconoscerli e la seconda è quella di sapere
attribuire loro un valore a loro coerente, cosa niente affatto facile per il
fatto che i simboli sono polisemici in se stessi e sempre speculari alla
sensibilità delle epoche e persone che li vadano ad utilizzare.
Per convenienza e riferendomi appunto al già citato elenco di qualità da
me già proposto nell’articolo precedente, attuerò ora anzitutto un esempio “semplice”
riguardante il simbolo grafico della
Massoneria, qui sopra riportato: la squadra ed il compasso che s’intersecano a
formare una stella a sei punte. Trattando noi ora di un simbolo dichiarato,
possiamo risparmiarci tutta l’analisi tesa a legittimare una lettura esoterica
dell’immagine in oggetto (di quella procedura, peraltro, ritengo d’avere già
dato ampia dimostrazione in tutta la serie di lavori riguardanti il rapporto
fra Cristianesimo e simbolo).
Cominciamo con il notare che la squadra ed il compasso sono due strumenti del
disegno tecnico: se il disegnare in genere è la capacità di restituire,
attraverso dei segni, una percezione interiore (disegno immaginifico) od
esteriore (disegno dal vero), il disegno tecnico è lo strumento per restituire,
attraverso dei segni, un protocollo, una procedura e cioè una progettualità (a
sua volta desunta da un’idea del disegnatore o da qualcosa di visto già
realizzato); il primo dato che ci fornisce il simbolo è quindi quello di
riferirsi ad un percorso. Analizzando
le qualità dei due strumenti, riconosciamo che il compasso definisce un’area determinabile
soggettivamente (apertura più o meno ampia conferita al raggio del cerchio) il
cui perimetro sia però sempre, ovunque, equidistante dal suo centro; la squadra,
dal canto suo, determina sia l’entità di due linee (la loro lunghezza), che il
tipo di relazione (angolo) che le lega: questo ci fa capire che il tipo di
percorso di cui il simbolo parla procede tramite i due strumenti della
comprensione (circonferenza) partendo da sé (centro) e quindi di carattere
soggettivo, che dalla misurazione (lunghezza) e messa in relazione (angolo)
dei dati oggettivi del reale. Si può notare come la vite che tiene il
compasso, ovvero l’asse attorno al
quale si determina l’estensione del raggio del cerchio, abbia il “taglio a
croce”; provando ad immaginare il compasso posato su di un piano, è facile
capire come l’asse della vite sia perpendicolare alla croce del taglio e questo
dettaglio, assieme al fatto di stare parlando d’uno strumento per il disegno
tecnico, mi fa immediatamente pensare a Vitruvio che, nel suo De Architectura (associazione più che
legittima, dato che stiamo parlando del simbolo dei massoni), illustra la procedura per determinare la pianta di un
tempio partendo dall’orientamento solare:
«Al centro dell’area scelta si erige un albero maestro attorno al quale si
traccia un grande cerchio; si osserva l’ombra che cade sul cerchio; lo scarto
massimo fra l’ombra del mattino e quella della sera indica l’asse Est-Ovest;
due cerchi centrati sui punti cardinali del primo indicano, attraverso la loro
intersezione, gli angoli del quadrato. Quest’ultimo è la quadratura del cerchio
solare. E’ importante ricordare con precisione le tre operazioni della
fondazione, ovvero: il tracciato del cerchio, il tracciato degli assi cardinali
e l’orientamento, il tracciato del quadrato di base, perché sono queste che
determinano il simbolismo fondamentale del tempio con i suoi tre elementi
corrispondenti alle tre operazioni: il cerchio, il quadrato e la croce per
mezzo della quale si passa dal primo al secondo» (J. HANI, Il simbolismo del tempio cristiano, Arkeios, Roma 1996).
Possiamo finora capire che il percorso proposto dalla Massoneria ed
illustrato magistralmente nel suo simbolo, prevede per l’iniziato l’acquisizione
della capacità di erigere un tempio (ascesi),
partendo da un progetto (presupposto volitivo), tramite gli strumenti della
comprensione soggettiva, della misurazione e della correlazione oggettiva dei
dati. Non ci resta ora che analizzare la posizione dei due strumenti, l’uno
rispetto all’altro, per cui anzitutto va notato che il compasso è posto sopra e
la squadra è posta sotto: ci sarebbe un lungo discorso da fare su questo fatto (in
merito ai diversi gradi iniziatici della Massoneria), ma, essendo noi qui ad osservare
il simbolo in quanto tale, onde potere cogliere, da questa osservazione, un
metodo, mi limiterò a considerare che la misurazione oggettiva sta
evidentemente alla base del percorso,
mentre la comprensione soggettiva vi si
appoggia (ne è, cioè, la risultanza progressiva). Per concludere in modo ancora
sommario, ma preciso, la disamina del simbolo, noteremo che i due strumenti
determinano visivamente, l’uno rispetto all’altro, due “frecce”, rispettivamente
una (compasso) con il vertice verso l’alto e l’altra (squadra) con il vertice
verso il basso: a quanto pare, la misurazione riguarda le cose terrene, mentre
la comprensione riguarda le cose celesti (il che conferma la correttezza della
mia associazione precedente a Vitruvio). Le due “frecce” rappresentate dalla
squadra e dal compasso finiscono con lo stilizzare, nel loro essere
sovrapposte, una cosiddetta “Stella di Davide”, ovvero un ulteriore simbolo: a
questo punto, si dovrebbe procedere con l’illustrazione sistematica anche di quest’ultimo, cosa che però non
farò, visto che quanto riportato mi pare sufficiente ad indicare il metodo
per attribuire valori precisi, per quanto analogici, ad un elemento simbolico.
Venendo ad applicare il metodo interpretativo non ad un disegno, ma ad
un mito, possiamo desumere le medesime esigenze di coerenza: il senso
attribuito, per quanto analogico, dovrà sempre risultare aderente alle
caratteristiche letterali dell’elemento
analizzato. Per fare un esempio, se la Bibbia definisce YHWH come “Signore
degli eserciti” (accantoniamo in questa sede, per ovvie ragioni di tema, il
problema delle traduzioni), noi potremo, a seguito di una ricerca (sulle figure
retoriche dell’epoca, sul genere letterario del brano, sui miti precedenti a
cui la definizione pare riferirsi, ecc.), stabilire “che tipo” di signoria
venga attribuita a Dio e "su che tipo” di esercito egli dòmini, ma mai potremo dire (come invece s’è
ampiamente fatto), che tale definizione indichi una sua generica maestà sul
creato: NO, lì si parla di un ruolo preciso rispetto ad un contesto preciso e
tutti i significati simbolici che si vorranno vedere nel termine “Signore” e
nel termine “esercito”, dovranno necessariamente
riguardare l’azione di comando, da parte di YHWH, verso una forza
combattente (non a caso, la dottrina preconciliare della Chiesa definiva quest’ultima
“militante”). Un altro fattore di coerenza interpretativa, oltre a quello
formale appena illustrato, è quello filologico: se, davanti alla Bibbia che definisce
YHWH come “dio geloso”, noi per esempio ritenessimo di associare il personaggio
ad un elemento metafisico come l’Essere, allora potremmo ipotizzare che l’affermazione
stia ad indicare il fatto che all’Essere stesso non esistano alternative (nel
senso: “tutto ciò che c’è è nell’Essere, quindi l’Essere è un Dio geloso,
perché tutto ciò che non è in lui, non c’è): a quel punto, però, qualcuno ci
farebbe notare l’illegittimità della nostra lettura, visto che il pensiero
filosofico greco era del tutto estraneo agli autori ed al periodo ed alla mentalità
responsabili della redazione di quella definizione di YHWH. Se nel NT il “dio del
Cristo” viene costantemente riconosciuto come il dio degli ebrei, ebbe ragione
la Chiesa ad opporsi a Marcione, il quale invece riteneva illegittimamente (cioè in modo incoerente rispetto alla lettera del testo) che l’AT ed il NT si
riferissero a due dèi distinti: volendo ipotizzare che Gesù abbia mantenuto una
continuità strumentale fra la propria dottrina e quella mosaica, al solo fine
di rendersi più comprensibile dai propri connazionali (tesi che, comunque,
andrebbe dimostrata in modo coerente con la lettera dei suoi insegnamenti…i
quali invece confermano l’idea di un dio che separa le pecore dai capri,
destìna alla Geenna, ecc.), ciò nonostante non
possiamo fare a meno di notare che, in modo legittimo (data la continuità che
lui stesso, appunto, mantenne), i cristiani ortodossi ancora oggi ritengono doveroso non
dimenticare le prerogative di YHWH, nel valutare il Padre del NT. Qualunque cosa abbia pensato il Gesù storico, è col Cristo dei testi che i cristiani si confrontano ed è nella coerenza coi testi che si può elaborare una legittima interpretazione esoterica degli stessi (e delle dottrine ad essi rifacentisi). Se il “dio del Cristo” premia l’obbedienza, ovvero la
sottomissione al padrone e a Gesù che del padrone si dichiara figlio esemplare,
noi potremo anche trovare argomentazioni legittime (cioè coerenti con l’oggetto
letterale del racconto e con il contesto di formulazione del racconto) per dare
una certa valenza simbolica al padrone ed in base a ciò relativizzare l’idea di
sottomissione, ma mai saremo legittimati dal testo a ritenere che non di sottomissione si tratti (a meno
che non si documenti trattarsi di una figura retorica atta a dire altro),
quanto piuttosto, ad esempio, di un percorso di ricerca, relazione di scambio e rispecchiamento col reale: NO, lì si parla di sottomissione all’autorità di qualcuno/qualcosa che
pretende di essersi rivelato/a nel modo
di fare di un individuo preciso, individuo il quale, per l’appunto, si pone come coerentemente "ad esempio", per tutti, nel farsi ammazzare pur di restare inginocchiato innanzi al suo dio, a dispetto di sé.
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