Dopo avere stabilito quali siano i criteri per riconoscere gli
elementi mitici di una narrazione e per stabilire quale interpretazione
simbolica sia ragionevolmente attribuibile a ciascuno di essi, nel precedente
articolo ho voluto distinguere l’esoterismo
cristiano dal Cristianesimo esoterico:
se con la prima dicitura possiamo definire la ricerca simbolica interna a ciascuna tradizione cristiana
ortodossa, con la seconda indichiamo un tipo di cristianesimo simbolico che
attinga a fonti ulteriori rispetto a quelle canoniche (Scritture, Tradizione,
Magistero). L’esoterista cristiano può appartenere a qualunque chiesa
tradizionale: ciò che lo distingue dai suoi correligionari è il ritenere che le
Scritture e la dottrina professata siano “vere” sul piano simbolico e non sul
piano letterale; per capirci, se l’esoterista cristiano in questione fosse un cattolico,
posto davanti al dogma dell’Assunzione al cielo della Vergine Maria, egli non
intenderebbe questo come il “decollo” della Madonna verso gli spazi siderali
(quasi lei fosse un missile), ma leggerebbe in esso l’espressione mitica di un cambiamento di stato esistenziale. L’esoterista cristiano non mette in alcun modo in discussione né le Scritture, né la
Tradizione, né il Magistero, né la Liturgia: anzi, legge entro i suddetti
strumenti una forza arcana che abbia guidato la loro formulazione nella storia,
affinché chi formulasse ingenuamente la lettera, di volta in volta si facesse
in effetti veicolo, surrettiziamente, di realtà superne a lui appunto ignote.
Venuto a contatto con la prospettiva mitica, l’esoterista cristiano impara
progressivamente, da un lato, a conoscere la genesi storica dei simboli; dall’altro,
a relativizzare i presunti eventi storici della rivelazione: essendo che le
dottrine cristiane tradizionali si fondano tutte quante sul presupposto della
storicità del kerygma (cioè l’insieme
di passione, morte e resurrezione del Cristo), l’esoterista cristiano è
destinato, proseguendo nei suoi studi e vincendo le proprie resistenze psichiche, a “trasformarsi” in un
cristiano esoterico, ovvero nel testimone di una forma di credenza non più fondata
su di un salvatore “oggettivo” (qualcuno che giunse comunque storicamente, per risolvere concretamente il guaio del Peccato Originale), ma su quella di un
salvatore soggettivo (un simbolo, il cui compito è quello d’insegnare
qualcosa a chi voglia/possa ascoltarlo).
La scoperta dell’esoterismo è una possibilità che le dottrine
ortodosse custodiscono loro malgrado nella liturgia, la quale costituisce un
vero e proprio “portale iniziatico” in ogni religione tradizionale: non è
infatti possibile cogliere il senso della liturgia senza apprendere il valore
allegorico dei gesti e dei suoni e dei tempi e chiunque decida di emergere dal puro
uso consumistico del culto, teso verso una spiritualità più pura, non potrà che
finire con il dedicarsi allo studio della sua religione, durante il quale non
potranno che emergere, sempre più chiaramente, i rimandi allegorici che la
dottrina ha nella pratica del culto. Il culto mostrerà di tradurre la dottrina
in suoni e gesti e tempi derivanti dalla vita quotidiana e dalle Scritture: il
gesto dello spezzare il pane, ad esempio, verrà scoperto nel suo relazionare i
frutti della terra con il lavoro dell’uomo, ma anche nella sua relazione con la
Pasqua ebraica. Studiando i nessi fra il sacrificio del Cristo e lo spezzare il
pane, il cercatore si potrà educare a cogliere, nel mondo, i segni di realtà
spirituali; studiando la Pasqua ebraica, il devoto appassionato potrà scoprire
le di lei radici storiche in culti precedenti e la connessione non solo con la
fuga dall’Egitto, ma anche e soprattutto con i culti stagionali e pastorali cananei.
Il giorno in cui il credente vedrà l’autorità ecclesiastica giustificare ciò
che lui valuterà esser un abuso, attraverso un’interpretazione letterale della
dottrina, egli affronterà la sua prima prova iniziatica, quella che apre il
sentiero dell’individuazione: sceglierà se inginocchiarsi all’autorità o controbattere
con un’interpretazione “nuova”, frutto dei suoi studi e consistente in una rilettura
metaforica della morale religiosa; così come inizialmente fu il desiderio di
Dio e della Sua giustizia a spingere il cristiano onesto verso lo studio, così
ora il medesimo daimon, se accolto,
lo spingerà a rivoltarsi all’autorità grazie allo strumento del simbolo;
passata la porta, si ritroverà in un nuovo stadio evolutivo, quello dell’iniziato,
quello dell’esoterista cristiano. Come si è detto, il passaggio dall’esoterismo
cristiano al Cristianesimo esoterico è determinato in prima istanza dalla nuova
ricomprensione simbolica della dottrina già descritta ed in seconda battuta,
dall’ammissione progressiva a se stessi dell’effettiva inconsistenza di quest’ultima:
come si nota, le costanti di queste prime tappe del percorso iniziatico (procedente
da una religione tradizionale), ma anche delle successive, sono la dedizione a
Dio ed alla sua giustizia, il desiderio di evoluzione e la fedeltà a se stessi,
intesa come tutt’uno con la fedeltà a quel Dio che il cercatore riconosce star
alla guida della sua personale ricerca. In una sola descrizione, potremmo affermare
che il motore dell’iniziazione sia la ricerca di un senso per la propria vita,
ricerca attuata attraverso la fedeltà al proprio démone interiore, cioè ad un’intuitiva avvertenza di sé; in una sola
parola, potremmo affermare che la chiave evolutiva dell’Uomo risulti essere il desiderio.
Utilizzando un gergo gnostico, potremmo identificare: il “consumismo
religioso” (ovvero la prassi di aderire ad un culto per motivi apotropaici o “magici”
di do ut des) dei più, come espressione
degli ilici; l’ossequio indiscusso
alla religione (per motivi in fin dei conti sempre consolatorii) dei moralisti,
come riferibile agli uomini psichici;
la religiosità di onestà e desiderio dei cercatori, come appannaggio
dei soli pneumatici. In effetti, se l’onestà
verso se stessi ed il proprio desiderio (di Dio, di sé, di senso) costituisce
la “molla” di ogni avanzamento in campo iniziatico, il nascondersi a se stessi
e cioè la paura, ne incarna l’inevitabile “freno”: la paura, dal canto suo,
costituisce un ingrediente essenziale del Cristianesimo tradizionale,
costantemente sottolineante la completa nullità dell’uomo davanti al dio e di
conseguenza la completa mercé dell’uomo a quest’ultimo. Checché se ne dica
citando frasi del genere “vi ho chiamati amici”, il dio cristiano si mantiene
il consueto, sanguinario ed irascibile, YHWH dell’AT (cfr. Gv XV): Gesù stesso
specifica che per “amici” egli intende chi obbedisce al “padre” ed a lui; che
soltanto chi fa la volontà del Padre è suo consanguineo (cfr. Mt III, 50); che
tutto sommato, davanti al Padre, i devoti continuano ad essere i medesimi “servi
inutili” (cfr. Lc XVII, 5-10) dell’AT. La demonizzazione della ricerca autonoma
comincia, in ambito cristiano (lo abbiamo visto), dall’interpretazione
costantemente fornita dalla Chiesa riguardo l’episodio di Gn III in cui Adamo
ed Eva sarebbero “caduti” a causa della loro pretesa di stabilire da sé il bene
ed il male, contro l’ordine di Dio;
il tema della paura e della sottomissione attraverso tutto quanto il
Pentateuco, continua ad esprimersi nell’immagine del “dio geloso”, si
concretizza nella pretesa di sangue dal figlio e dagli apostoli e trova la sua
degna conclusione in una fine dei tempi “dipinta” come uno sterminio di massa
di quanti non si saranno convertiti. Come già accennato in altri articoli e
come vedremo nel prosieguo di questa serie, agli antichi temi sapienziali del
rapporto fra unità e dualismo e di quello fra uscita da sé e rinnovamento, le
Scritture e la Tradizione cristiana che vive nella reciprocità con esse,
associano una costante pretesa di sottomissione, tale da non consentire di
restare ortodossi, eludendola. Facendo leva sull’ancestrale paura dell’abbandono,
i cristianesimi tradizionali uccidono il daimon
rendendo tanto più complessa l’iniziazione, quanto maggiore sia stato l’investimento
affettivo precedente, del credente, nei riguardi della sua Chiesa. L’episodio
di Giacobbe, che mostra il cielo aprirsi a seguito della sua sconfitta a
vantaggio del daimon, è spiegato
come l’inutilità di combattere contro la forza soverchiante del padrone; l’Illuminazione, ovvero la cittadinanza
celeste, vien dipinta come dono del padrone a chi più gli sia rimasto in
ginocchio davanti.
La cosiddetta “iniziazione cristiana”, lungi dal costituire un
percorso evolutivo della persona nel reale, stupra il lessico esoterico per
descrivere una serie progressiva di doveri del credente rispetto al corpo
ecclesiale; la gerarchia che dovrebbe rappresentare, sul piano exoterico, le
possibilità evolutive del piano esoterico (piano che in realtà manca a tutte le attuali forme di cristianesimo, eccezion fatta forse per alcune Chiese ortodosse orientali: il che rende improprio, per i cristianesimi attuali, anche la definizione di "exoterici") del culto, riproduce in realtà, sul
piano di chi si è elevato dal ruolo di pecora a quello di pastore, il medesimo
meccanismo, ma in senso speculare. Nell’iniziazione “bassa” dei laici, che va dal
battesimo alla comunione e passando per la confermazione (mi riferisco all’ordine
tradizionale antico e non all’attuale consuetudine italiana), i doveri del
servo aumentano; nell’ “iniziazione
alta” dei chierici, che va invece dal diaconato all’episcopato e passando per
il presbiterato (i preti), i doveri del servo diminuiscono quanto più egli vada a costituirsi come padrone a sua
volta, fino all’esponente in terra del dio padrone
di tutto: il Papa. Com'è facile capire, in tutto questo la fedeltà alla verità, nella fedeltà
alla propria esperienza, conserva un ruolo risibile: al sistema Chiesa, cioè al potere, interessa soltanto
riprodursi, per cui l'inginocchiarsi progressivamente è l’unico modo per giungere a comandare.