Per affrontare il tema misterico (e non banalmente “misterioso”)
della Santissima Trinità secondo una lettura iniziatica, ovvero esoterica (dove
per esoterismo s’intende l’indagine delle relazioni filosofiche tra i simboli
tradizionali), pare anzitutto necessaria una premessa sulla distinzione che la
Scienza Sacra opera fra le nozioni di numero
e di cifra. La cifra è uno strumento quantitativo di calcolo; il numero è un
simbolo (e in quanto tale intrinsecamente qualitativo)
di ordine ontologico: per fare un esempio, se sul piano del calcolo 1+1=2, sul
piano ontologico 1+1 è un’operazione impossibile
ed il 2 non si dà come somma dell’Uno
con se stesso, ma come duplice interpretazione del medesimo principio (come se 1:2=2). La matematica è scienza
della cifra ed indagine della forma, la quale, se da un lato può essere assunta
a simbolo della sostanza, pure non coincide con essa; la numerologia è Scienza
Sacra e cioè indagine diretta della sostanza. Usando la numerologia pitagorica,
la geometria euclidea associa l’Uno
al punto immateriale e originante la materia; il Due al segmento compreso fra due estremi; il Tre alla figura piana del triangolo; il Quattro al solido tetraedro. In termini ontologici, le lezioni della
numerologia pitagorica e della geometria euclidea potrebbero essere raccontate
come segue: l’Essere (Uno), costituito nella coscienza come sostanza in
relazione ad una forma (Due), può essere colto intellettualmente nel principio
di analogia (Tre) e sperimentalmente nella materia (Quattro). In termini
hegeliani, si potrebbe dire che l’esperienza storica (Quattro) sia il contesto di
svolgimento del processo di tesi (Uno), antitesi (Due) e sintesi (Tre). In
termini junghiani, si direbbe che l’uomo possa strutturarsi (Quattro) pervenendo
al Sé (Tre), tramite il superamento dell’inconscio collettivo (Uno), grazie all’Individuazione
(Due). Il modello pitagorico offre chiarimenti importanti sul valore iniziatico
di alcune mitologie, da quella alchemica a quelle greca e giudaico-cristiana.
Per quanto riguarda il mito greco,
nell’articolo precedente si è già spiegato il valore ternario ed ontologico di
Atena, che sarà ora ripreso nel contesto dell’attuale trattazione. Venendo
direttamente al tema ed eludendo per ora la discussione sulle corrispondenze
fra i dodici déi olimpici di terza generazione (Zeus; Poseidone; Ade; Era; Demetra;
Estia = sei) e di quarta (Ares; Efesto; Apollo; Atena; Afrodite; Artemide = sei),
con i dodici titani (sei maschi e sei femmine) di seconda generazione, si può
porre l’attenzione su Zeus ed i suoi primi tre figli: la coppia di gemelli d’oro
e d’argento, Apollo e Artemide, nonché la tritogeneia
Atena. Zeus, il principio unificatore (Uno) del mondo divino (sfera celeste delle
idee), si “dualizza” riproducendosi con Leto, una titano (sfera ctonia del
costruire) appartenente alla generazione precedente. Leto, che nel mito ha
abilità pratiche simili a quelle del fabbro Efesto, è contraddistinta come
donna gravida inseguita dal serpente Pitone, che intende mangiarne i pargoli
alla nascita (cfr. Ap XII, 1-3). Il serpente, a causa della sua forma fallica e
della proprietà di penetrare la terra, è da sempre il simbolo maschile della
comprensione, della coscienza e del manifestarsi del reale alla coscienza: come
già detto altrove, molteplici serpenti possono indicare le apparenze
ingannevoli del reale, mentre un unico serpente può simboleggiare sia il
principio d’unità che salva dalla confusione, che il rischio di separazione del
reale cui s’incorre nel processo del conoscere. Nel caso della caccia a Leto,
il serpente pare essere una proiezione dell’aspetto per così dire “reazionario”
dell’unità divina, la quale tenta di fermare il processo di comparazione che la
coscienza innesca nell’incontro con la materia. Leto partorisce Artemide ed
Apollo che, tra gli altri modi, in questo caso possono essere “letti” rispettivamente
come gli aspetti pulsionale e logico della coscienza umana. Apollo e Artemide
sono gemelli (Due) e per proteggere la madre (Quattro, l’esperienza terrena)
uccidono il serpente (Uno, l’indistinzione): solo la distinzione fra gli enti
permette alla coscienza di sperimentarsi. Atena è l’ultimo “anello” della
catena iniziatica, è la tritogeneia,
ovvero la terza generata: come già detto altrove, Ella costituisce il punto di
sintesi tra forma e sostanza; il Suo scudo (l’egida) è il velo del tempio
che protegge l’unica realtà (divina) attraverso le disorientanti apparenze (i serpenti
della gorgone sullo scudo).
Nel Vecchio Testamento, il modello si ripropone nei tre luoghi dell’Eden (Uno, indistinzione del sentire della creatura –androgina- col sentire del creatore YHWH), della tenda di convegno nel deserto (Due, l’elemento d’individuazione d’Israele rispetto agli altri popoli, grazie alla presenza di un elemento divino –shekinah- e di uno materiale –l’arca-) e della terra promessa (Tre, luogo di prosperità del popolo posto fisicamente nel tempio e moralmente nella ruah divina che ispira la guida dei profeti, cfr. Lv XXVI, 12. In termini cristiani, in vece del territorio fisico si ha la Gerusalemme Celeste della fine dei tempi).
Comprendere la Santissima Trinità
cristiana dovrebbe ora risultare più agevole e meglio collocabile in un sistema
iniziatico di realizzazione del
divino (piano pneumatico), anziché di adorazione
sui piani supplice (ilico), piuttosto che etico (psichico). Il Padre eterno (Uno), sperimentabile direttamente nel Figlio (Due, vero dio e vero uomo)
nato da una vergine (Quattro), offre la comunione
a sé come vita nello Spirito Santo (Tre). Il Padre, il Figlio e lo Spirito
Santo sono il solo Dio, l’Essere, a cui non esiste alternativa e che quindi
proviene da se stesso, va verso se stesso ed è pertanto unico ed eterno; il Padre
è la personificazione del principio, dell’Essere stesso il quale, essendo
diretto a se stesso, si pone alla coscienza come direzionato, cioè dotato di volontà personale; il Figlio è la
personificazione del Logos, ovvero
dell’intelligibilità (l’ordine visibile) dell’Essere attraverso la comparazione
fra gli enti (la coscienza umana si distingue ed incontra l’altro-da-sé solo
per confronto, come ricordano Hegel e Levinas –cfr. anche il vangelo di Filippo
11-12). Lo Spirito Santo, nelle varie qualità ad esso attribuite dal dogma
exoterico, è la personificazione di diverse istanze: è l’Essere come movente
della realtà (senso), il metodo per vivere la realtà nell’Essere (agape), nonché il fine della realtà (comunione); è la chiave di lettura con
cui cogliere il logos onde risalire
dal molteplice all’Uno, ovvero è la luce;
è il procuratore di pace, ovvero il risolutore del dualismo, ovvero il
principio d’analogia già posto in evidenza dall’Aquinate; è il paraclito, ovvero il difensore e dell’autenticità
dell’esperienza e dell’unicità della matrice ontologica del reale. Lo Spirito
Santo è Atena, è la ruah, è la terra
promessa, è la Gerusalemme Celeste, è la vita di Dio che risiede nell’uomo-tempio.
Alla luce di quanto testé indicato, è possibile rileggere efficacemente il
cosiddetto paradigma di Calcedonia,
la formula con cui la dottrina cristiana descrive i rapporti cristologici
fra le nature divina ed umana del Salvatore: esso recita “unità
nella distinzione nell’ordinamento” ed indica non soltanto la meccanica
interna della comunione, ma anche il modo di porsi della coscienza rispetto ad
essa. La meccanica comunionale sta nel principio d’analogia, per cui l’unità sostanziale dell’Essere
non riduce a mera apparenza la pluralità delle forme, mentre quest’ultima non sconfessa tale unità, in quanto ad
essa sono “gerarchizzate” ontologicamente le apparenze stesse; la coscienza,
vivendo sperimentalmente l’unità dell’essere nella comparazione fra gli
essenti, gerarchizza verso se stessa e la realtà esperita e la
realtà compresa e la reciprocità fra sé ed il reale.
Per approfondire: http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiPDF/Voltaire/Dizionario.pdf
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