domenica 25 ottobre 2015

Quali diritti?

Da una parte, pare che le esigenze di sopravvivenza aiutino a distinguere i bisogni dai desideri e che l'assenza o meno di pretesa aiuti a distinguere fra desideri e capricci. Dall'altra, probabilmente la categoria della sopravvivenza non può essere strettamente legata al contesto fisiologico, ma anche a quello psichico. Così, alla luce ad esempio di problematiche quali quelle dei tipi psicologici (giusto per parlare d'una scuola di pensiero, non necessariamente condivisibile), si profila una definizione sempre più personalizzata dei bisogni, che, se da un lato risponde meglio alla poliedricità dei viventi, dall'altro sfuma i contorni apparentemente così distinti fra appunto i bisogni, i desideri ed i capricci. Per bisogno s'intenderebbe allora ciò senza il quale quella persona si estingue. Ma anche ammettendo una soluzione del genere: siamo proprio sicuri che il bisogno sia direttamente traducibile in un diritto? Cioè: gli altri devono lasciarmi mangiare soltanto perché ho fame? Gli altri devono darmi carezze solo perché altrimenti mi suicido? Pare strana anche questa soluzione. E si è punto a capo.
L'unica soluzione coerente appare forse questa: i diritti sono il "precipitato normativo" di quei "valori" che la società ha stabilito essere i migliori garanti della sua sussistenza. Una volta assunto ciò, il problema si sposta su tutt'altro piano: quale forma di società (e quindi quali valori e cioè quali diritti) è quella più vantaggiosa per il "sistema integrato" di felicità umana-ambientale?

5 commenti:

  1. Ma se la relazione si pone come COSTITUTIVA dell'essere umano, allora diviene inevitabile che sulla relazione l'essere umano faccia SPONTANEAMENTE affidamento. Senza nulla togliere alla libertà personale di implicarsi o meno, o fino a che punto, in tale relazione.

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    1. Cara/o sconosciuta/o, parli proprio di ciò che dicevo riguardo il cibo e le carezze. Se la relazione è costitutiva dell'individuo (e lo credo), ciò significa solo che l'individuo ha BISOGNO di ricevere e BISOGNO di dare, ma il fatto che abbia questi bisogni non significa affatto che gli altri siano tenuti ad assecondarli. Se non mangi muoio, ma questo non è un motivo sufficiente a che gli altri siano TENUTI a sostentarmi. Perchè NESSUNO DEVE NIENTE a nessuno. Le possibilità a questo punto sono due. Sul piano sociale, LA COMUNITA' può decidere AUTOREFERENZIALMENTE che obbligare dei genitori a sostentare i figli (cosa niente affatto scontata) sia il minimo indispensabile per garantire un minimo di coesione collettiva. Sul piano esistenziale, una persona può giunger a comprendere che senza sviluppare ella stessa anche una sana personalità genitoriale (capacità di dare), la SUA PROPRIA vita ne risulterà mutilata. Ma sempre di SCELTE e NON di "diritti" di qualcun altro si tratta: scelte, per altro, d'ordine eminentemente pratico, anche se dai risvolti chiaramente etici :)

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    2. Sono completamente d'accordo, nella sostanza, mi pare d'aver detto la stessa cosa. Ma sarei più interessata a capire cosa spinge ad una tale puntualizzazione. Infatti ciò che affermi mi pare piuttosto condivisibile, a meno che non si opti per una società di...TIRANNI.

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    3. Mettere in fila le cose, partendo da quelle più ovvie fino alle loro inevitabili conseguenze, è a mio avviso un modo per non sottovalutare la realtà, accrescere lo spirito critico e fondare l' "esprit de finesse" dell'anima ;)

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