Parafrasando
una bella intuizione di Hegel, potremmo definire l’Uomo come l’ente in cui il Cosmo esprime la sua possibilità di
auto-comprendersi ed orientarsi. Ma nel momento in cui l’Uomo sceglie con la sua idea il bene ed il male; nel momento in cui l’Uomo smette di fruirsi (Agostino) per conoscere il Cosmo
nella compromissione esistenziale con Esso e invece si arroga la facoltà di separare (gr. dia-ballèin) “ciò che è bene” da “ciò che è male”, allora il Cosmo
stesso si separa dal suo Logos, ossia
dalla possibilità di comprendersi e di reperire per se stesso (e per l’Uomo) un
senso. Il Cosmo “Si incontra” e “si
auto-comprende” nell’ente “Uomo”; quando, nella scelta umana dualista fra
bene e male, il Cosmo smette di incontrarsi per ciò che è e finisce in
disaccordo con se stesso, allora e l’Uomo (che sceglie) ed il Cosmo (che
nell’Uomo “ricapitola”) con lui, perdono il contatto col senso del loro
esserci, ossia con il Logos e si pèrdono.
E’ questo il peccato originale: è qui che avviene la “frattura”.
L’Uomo è
donato a se stesso: lo è nella sua stessa nascita fisica, nell’atto di nutrirsi
della vita altrui, nel bisogno di qualcuno che lo riconosca (traendolo dal nulla
al senso) e nel condizionamento ed
evoluzione che costantemente subìsce a seguito del mutarsi delle circostanze e
del susseguirsi degli incontri.
L’Uomo è un corpo in cui si delinea ed in cui trova inequivocabilmente
un’identità che preesiste ogni condizionamento successivo: ma la sua corporeità
gli è donata ed il suo essere
corporeo, in costante divenire, gli verrà un giorno pure sottratto.
Tutto questo
fa sì che l’uomo sia nello stesso tempo un IO dotato di continuità ed identità,
ma anche un fenomeno passeggero, in divenire ed “in prestito”. Tutto questo fa
sì che l’Uomo sia costantemente e contemporaneamente,
se stesso ed un “estraneo”, donato a se stesso da altri/o.
Davanti a
queste realtà, il serio “dualismo” che può spingere l’Uomo a separare le cose
in bene e male non è quello tra anima/bene
e corpo/male, perché questa selezione
è già l’effetto della scelta
precedente di porre se stesso a “metro” della realtà (Protagora). Il “vero”
dualismo che abita l'inconscio umano è quello tra la sua identità ed il suo
essere “dono d’altri”, estraneo a se stesso e in divenire verso la
“restituzione” della morte (Heidegger). L’Uomo può reagire a questa condizione,
consciamente o meno, in diversi modi: potrà accogliersi
come “unità dialettica” (secondo il paradigma che a Calcedonia volle descrivere
la natura trinitaria: unità nella
distinzione nell’ordinamento: quest’ultimo punto dovuto al fatto che l’Uomo
occidentale, che si auto-comprende in termini concettuali e rappresentativi,
piuttosto che espressivi, procede praticamente dai dati di coscienza) che esprima un “Sé”
relazionale (Jung, processo
d’individuazione); oppure, potrà identificarsi unilateralmente nella “volontà
di potenza dell’IO” che lo porterà a dividere il mondo tra bene e male,
secondo i gusti dell’IO, nel
tentativo disperato di “darsi una casa” in questo mondo. L’esito di questa
seconda opzione sarà appunto la “frattura” tra se stesso ed il Logos, ossia il
mondo attorno a lui (ed in lui) còlto nel suo dato originario di
manifestazione: si passa allora dal Cosmo all’idea di caduta/corruzione, sempre e solo rispetto ai suoi gusti.
Potrà anche scegliere, l’Uomo, di “identificarsi col non-essere” della propria
transitorietà, finendo così o per definirsi come “fascio di sensazioni” (Hume),
con la necessaria “deriva” pulsionale; o per deprimersi “divorato” dal nulla. In
entrambi i casi, sarà di nuovo l’Ego a compiere l’arbitrio di una riduzione del
reale al proprio gusto, sebbene conseguendo esiti apparentemente così diversi come l’edonismo e la depressione:
“rovesci” up e down (intellettuale ed emotivo) l’uno per l’altra, di una stessa
“medaglia” egoistica, riduzionista e prevaricatrice del reale.
A questo
punto, un incontro significativo
potrà forse portare l’Uomo ad aprirsi a nuove e più complete prospettive
tramite le quali vivere una conversione
verso la totalità del reale: fermo restando che, contro la libertà
sperimentabile dall’Uomo, non esiste cura.
Ps: In
quest’ottica, appare interessantissimo un confronto tra i presupposti (e quindi gli effetti) della Psicologia Analitica di Jung e quelli
dell’Analisi Transazionale di Berne.
Jung procede dal recupero della valenza simbolica del reale (“manifestazione di
qualcosa di sostanzialmente inconosciuto”) e promuove il recupero di un dialogo
e pacificazione, nel Sé, di tutto ciò che l’Uomo sperimenta di se stesso
“aldilà del bene e del male” (Nietzsche): in quest’ottica, la salvaguardia
degli atteggiamenti socialmente accettati è l’esito di una ricomprensione di se
stessi in un contesto più ampio che appartiene alla condizione “dono” dell’Uomo. Berne, dal canto suo,
procede dal postulato che ogni
condizione in cui si manifesta l’uomo è “OK”, per cui ogni eventuale
“progresso” ricercato in analisi sarà volto a conseguire una maggiore
efficienza in relazione ai traguardi prefissati. In questi termini, anche alla
normatività sociale è affidato il posto che le compete in un quadro egocentrico
di auto-realizzazione: qui non si tratta di un “sé” che fa la pace con la sua dimensione trascendente e potenzialmente
eversiva rispetto all’ordine avvertito e
ricevuto, ma piuttosto di
un’eventuale assunzione dell’ordine costituito
come “parte integrante” del proprio disegno di potere sulla realtà.
BIBLIOGRAFIA essenziale
di riferimento:
GALIMBERTI U., La terra
senza il male, Feltrinelli,
Milano 2009;
HUME D., Trattato sulla
natura umana, in Opere filosofiche, Roma-Bari, Laterza, 1987, vol. I;
STEWART J. - JOINES V., L’Analisi
Transazionale: guida alla psicologia dei rapporti umani, Garzanti, Milano
1990.
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