venerdì 12 febbraio 2021

Predatori & prede

La caccia, innanzitutto, non è uno sport e nemmeno una modalità per sopravvivere: nella sua essenza più intima, la caccia è un modo di porsi verso le cose. Quello che distingue la caccia è l’obiettivo: fottere qualcosa che non vuole farsi fottere.

Anche il Capitalismo è una caccia e certamente, anche il corteggiamento è una forma di caccia: un tentativo di fottere qualcosa che, si presume, non voglia farsi fottere. Nel corteggiamento in particolar modo, si parte dal presupposto che l’altra persona sia sfuggente, che sia da conquistare… il che ovviamente impone tutto uno scenario di strategie atte a circuirla, con l’implicito e discutibile intento di vincere le sue resistenze ovvero, di piegare la sua volontà di fuggire alla propria di catturarla.

Fottere qualcosa che non vuole farsi fottere è anzitutto un progetto: un progetto certamente illiberale e presuntuoso, ma ancora prima, appunto, un progetto. E’ chiaro che il predatore, avendo un progetto sulla preda, tenda ad infastidirsi qualora questa gli scivoli via fra le zampe. Ogni progetto propriamente detto è un generatore automatico di aspettative, che a loro volta producono recriminazioni e reazioni ad ogni piè sospinto, come non ci fosse un domani.

C’è chi se la prende con la società edonista come se il primato della ricerca del piacere, fosse il male assoluto, la fonte della distruzione di ogni etica: chi condivide questa posizione, solitamente contrappone al piacere la proverbiale “progettualità” e cioè pone l’idealizzazione di un obiettivo, in antagonismo al desiderio di stare bene. Chi contrappone la progettualità al piacere è un cacciatore e chi antepone il piacere ad un progetto, non per forza è qualcuno che antepone il proprio piacere a quello altrui.

“Chi sta da solo o è bestia o è dio”, recita Aristotele. A me la compagnia, piace. La compagnia mi piace quando la mia compagnia piace. Quando la mia compagnia piace, sto bene perché mi sento valorizzato, mi sento riconosciuto e la mia auto-stima s’impenna. Ovviamente, mi capita di piacere a persone che non mi piacciono e quando succede, la compagnia di quelle persone non mi piace perché la mia auto-stima non sa godere di un parere a cui attribuisce poco conto. Mi piace piacere alle persone che mi piacciono.


Non posso corteggiare una persona che mi piace: posso corteggiare un corpo che mi piace e cioè cacciarlo, ma non posso cacciare una persona che mi piace, perché desidero piacerle per sentirmi bene con lei e posso sentirmi bene con lei solo se lei si sente bene con me. Che una persona che mi piace si senta bene con me, è ciò che mi fa stare bene: se l’ho ingannata con un’astuzia di caccia, ciò che lei apprezza di me non sono io, ma una maschera; una maschera da cacciatore.

Una volta un contadino mi suggerì di mostrare quel che sono e soprattutto i miei difetti, sin dal primo incontro: quel contadino non era un cacciatore. “Chi si fa pecora, il lupo s’aa magna”, dicono a Roma: sono state persone che mi piacevano, in effetti, ad avermi trasformato in cacciatore. Tutte le volte che una persona che mi piaceva, fuggiva davanti alle mie rispettose -ma entusiastiche- espressioni di benessere, diventavo un po’ più cacciatore. Se il progetto che hai è avere compagnia e la gente fugge davanti a ciò che sei, allora se le gente si comporta da preda, ti comporterai da cacciatore e poi vinca il migliore.

La confusione alla base della caccia è l’illusione che il benessere sia una questione di dotazioni. Ovviamente ci sono cose indispensabili per stare nel benessere, ci sono dei “sine qua non” come ad esempio i soldi per mangiare e la compagnia. Il punto è che sto bene quando sono in compagnia e non quando ho compagnia, perché se la compagnia è una cosa che ho, non è una cosa esterna a me che mi apprezza, ma una cosa mia, una cosa di me tramite cui mi auto-compiaccio. L’auto-compiacimento non è soddisfazione, ma la sua parodia. Quando piaccio a una persona che mi piace, non sono più io ad auto-convincermi che tutto sia ok: c’è invece una persona che non sono io e che mi piace e che sta lì a dirmi solo perché lo vuole fare: quando sto con te, sto meglio.

Non sono nato cacciatore: lo sono diventato per fame. Per fame, una persona sbatte le corna ovunque; assaggia anche un tavolino di compensato, se serve, perchè ci sta, la fame è brutta e le provi tutte. La caccia è un modo di porsi indispensabile, certe volte, se la fame è brutta, se mangiare non ce n’è, se il supermercato l’hanno svaligiato. Non si può sopravvivere senza mai cacciare, ma l’unica cosa che non si può cacciare è una persona che ti piace: è come volersi levare la fame azzannando una piana di truciolato; non ha alcun senso, è il contrario dello sfamarsi cui si anela.


Quando ho voluto riprendere in mano la mia vita dopo la morte di dio, l’unica cosa che mi è sembrata sensata è stata il ritornare sulla forma della mia infanzia e ricordare cosa mi piacesse, cosa mi venisse naturale fare e cosa facessi. Mi sono ricordato delle esperienze che mi hanno trasformato in un cacciatore ed ho stabilito che se una persona mi piace, voglio dirglielo: come facevo da bambino. La maggior parte delle persone che incontro, si comportano da prede davanti all’esporsi senza filtri di un’altra persona: “chissà cosa pretenderà questo da me adesso”, si legge loro negli occhi.

Purtroppo è un circolo vizioso; a causa dei cacciatori, le persone si comportano da prede e comportandosi da prede, trasformano in cacciatore ogni persona affamata che incontrano. Personalmente, ora so che masticare una sedia non toglie la fame. Quello che toglie la fame è il cibo soffice, genuino, pieno degli aromi e dei sapori delle cose nate dalla terra: la persona che mi piace non può essere un panino, però, anche se finché si ha fame, alla fine il morso ce lo dai a quella cazzo di panchina di legno, pure sapendo benissimo che non serve a niente.

La persona che mi piace non può essere un panino, ma un’amica. Un panino lo si mangia, mentre con un’amica, il panino lo si gode. Un’amica non la incontri perché ti deve qualcosa, ma perché quando la incontri ti accorgi di stare meglio. Un’amica non ti chiama per il progetto di fare una famiglia insieme, perché altrimenti sarebbe una cacciatrice. Un’amica ti chiama perché nella sua vita, la tua compagnia, produce in lei almeno lo stesso benessere che lei produce nella tua, quando la vedi.

Una moglie, una “morosa”, in genere esce con me perché è la mia moglie, la mia morosa: auto-compiacimento, tavolo di compensato. Un’amica certamente esce con me solo quando va anche a lei, quando essere con me è la cosa che vuole fare, è il posto in cui desidera essere: una sorgente d’acqua viva. Una moglie, una morosa, non vuoi farla incazzare, perché sennò va a puttane il progetto: progetto, caccia, brama, aspettativa, recriminazione, violenza. A un’amica metti in mano il tuo cuore, perché ciò che ti lega a lei non è un’aspettativa rispetto ad un progetto, ma il godimento della felicità insieme, per la parte in cui sia possibile. Qualche persona, nel mio recente passato, si è sentita svilita nel vedermi definirla “amica”. Ho molte conoscenze e rarissime amicizie. Se ti piace il tempo vissuto con me e ti chiamo amica, sii felice. Se t’incuriosisce il tempo vissuto con me ed io ti racconto il mio mondo e la bellezza ed il piacere ed il benessere grandi che vivo stando con te, amica mia, non ti spaventare.

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