Mi
è stato ultimamente richiesto di commentare esotericamente l’arci-nota fiaba di
Cappuccetto Rosso: essendo un tema affascinante, esponendo il quale mi sarà poi
possibile esemplificare anche alcuni meccanismi del mito, mi accingo a
stenderne un'illustrazione, necessariamente riassuntiva. Per chi non lo sapesse, la
fiaba in questione parla di una bimba invitata dalla madre a portare vivande
alla nonna, aldilà del bosco: noncurante dei consigli materni, la bimba si
lascia distrarre dal lupo, che la devìa dal percorso e la precede a casa della
nonna, per tenderle un agguato. Nonna e Bimba, divorate dal lupo, vengono
infine salvate da un cacciatore amico dell’anziana. Per avvicinarci
culturalmente a questa fiaba è necessaria una premessa: con l’arrivo del
monoteismo giudaico-cristiano in Europa, i racconti popolari assunsero su loro
stessi il compito che in epoca politeista fu del mito, ovvero il narrare quelli
che Jung chiamerebbe “archetipi”. Come bene spiega l’Emerito Sovrano Gran
Maestro della Serenissima Gran Loggia d’Italia, Giovanni Francesco Pecoraro, il
mito non è che la versione “narrativa” di quelle “cose” di cui i simboli sono
la versione “visiva” ed i riti la versione “drammatica”: quelle cose sono gli
archetipi, ovvero le forme pensiero che la specie umana, dai suoi albori, ha
assunto, elaborato e sfruttato per incontrare la realtà e riconoscerle
significato. I singoli miti, i singoli simboli ed i singoli riti non sono che
diverse forme comunicative di medesimi e antichissimi archetipi universali,
declinati poi in ciascun tempo e luogo nelle immagini archetipiche che li rendono
accessibili in ogni specifica civiltà.
1)
Premesso ciò, il primo elemento da osservare è gioco forza il cappuccetto rosso che identifica il
racconto, il quale, senza ombra di dubbio, deriva dal berretto frigio che fu di Mitra, eroe solare che inaugura la nuova
era uccidendo l’antico toro: esso indica nella protagonista il soggetto di un viaggio iniziatico, finalizzato al sacrificio di una vecchia condizione in vista di un ciclo rinnovato di consapevolezza e di uno stato di comunione generato dal previo
riconoscimento di valore alla propria identità. Il rosso è il colore del sangue
e del fuoco, del mestruo, dell’erotismo e della volontà ardita: esso associa in
sé i significati dell’individuazione e dell’auto-coscienza sessuale. 2) Il
secondo elemento da osservare è quello delle tre donne ovvero un’anziana,
una madre ed una bimba: dalla greca Ecate alla Diana trivia latina; dalle Moire
greche alle Parche romane, alle Norne germaniche, il tema del trittico femminile si rifà alle tre fasi della vita (ingenuità/iniziativa, fertilità,
saggezza) nel parallelo con le tre fasi lunari visibili (crescente, piena,
calante). La madre di Cappuccetto Rosso è la Dea fertile e Regina, che spinge
alla maturazione la nuova generazione con la richiesta di raggiungere il
capezzale della saggia rappresentante del vecchio corso: comincia così una peripezia entro la selva oscura,
popolata in questo caso da quella specifica fiera
che ora valuteremo e cioè il lupo.
3)
Nella tradizione europea e per certi aspetti anche mondiale, il lupo è l’animale
sciamanico per eccellenza. Nel branco, esso rivaleggia sempre per fare valere
la propria individualità eppure in quel branco egli, come ogni membro svolge, una precisa funzione di utilità collettiva: il lupo si pone così a
simboleggiare da un lato la costante subordinazione di senso al gruppo e dall’altro, la
continua messa in discussione del medesimo gruppo. In Grecia, “lupesco”
era un appellativo del Dio solare delle arti, Apollo Liceo, la cui pianta sacra è l’alloro
in cui volle trasformarsi Dafne per fuggirlo; nelle fiabe russe, il lupo è
sovente l’animale-guida dell’eroe; nel mito italico, la lupa alleva i capostipiti
solari di Roma e di Siena; nel mito norreno, una coppia di lupi serve Odino,
che è il Dio Sovrano della Saggezza, della Guerra e dell’Iniziazione runica.
Per il suo comportamento allo stesso tempo individualista e collettivista,
accudente e predatorio, il lupo mantiene costantemente una duplice valenza
solare e lunare, la prima legata alla capacità espressiva e la seconda,
alimentata dal noto immaginario degli ululati all'astro notturno, alla trasformazione. Nel già citato mito
norreno è presente, oltre ai due lupi
del Dio Supremo Odino, un terzo lupo, che è figlio del dio dell’inganno Loki:
si tratta di Fenrir, il Distruttore di
mondi, colui che alla fine dei tempi, durante il crepuscolo degli dèi, ucciderà Odino stesso e divorerà il mondo,
producendo involontariamente lo spazio affinché una nuova e migliore realtà
possa emergere dalle antiche ceneri. Una lupa è tra le fiere che spingono
Dante, autentico Cappuccetto Rosso ante
litteram, dentro la Selva Oscura da cui uscirà soltanto dopo essere
sprofondato nelle viscere dell’Inferno
e quindi riemerso rinnovato; dalla figura mitica di Fenrir, il noto scrittore
Michael Ende prenderà spunto per il lupo nero, servitore del Nulla distruttore, lanciato sulle orme del
giovane cacciatore Atreiu ne La Storia Infinita, anche lui non a caso
rivestito di un mantello rosso e dotato del simbolo di rinnovamento Auryn / Uroboros.
Cappuccetto Rosso si conclude con il cacciatore che apre la pancia del
lupo per fare uscire di là sia la bimba, che la nonna insieme, a simboleggiare
l’avvenuta associazione tra giovinezza e sapienza come effetto degli eventi
trasformativi interpretati dall’ingannevole bosco, dal lascivo lupo e dal suo
ventre "fecondo", nonché dall’intervento della controparte maschile costituita da
lui stesso. Il cacciatore è l’aspetto positivo del lupo (cacciatore a sua volta)
e l’aspetto maschile della Triplice Dea: in tutti i pantheon tradizionali, le
divinità della guerra e della caccia sono anche le divinità del parto e della
sapienza. In un’interpretazione monoteistica, il cacciatore è lo Spirito che
illumina l’anima del fedele dispersa nelle difficoltà della vita; in
prospettiva junghiana, egli è Animus che si ricongiunge alla coscienza che si
sia presa la briga di morire a se stessa nel confronto con l’ombra.
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